Sta nella nuvola e nel pozzo,
nella neve e nella noce di cocco,
negli occhi e nel fiume,
nell’arcobaleno e nel lago,
nel ghiaccio e nel vapore della pentola sul fuoco,
nella bocca.
È la maggioranza della superficie.
È la maggioranza del corpo.
Una persona è acqua che cammina, dall’acqua di placenta all’acqua del sudario.
In ebraico è plurale, màim, acque.
In francese è una vocale sola, eau, ô.
In greco e in tedesco è neutra.
In russo e nelle latine è femminile.
L’impero di Roma si costruì sull’acqua, fu idraulico.
Resiste più di altri manufatti la fabbrica di archi, gli acquedotti.
Dal fondo del pozzo avverte il terremoto.
Fa tremare il ramo scortecciato in mano al rabdomante.
La sua avventura chimica è prodigio, ossigeno più idrogeno,
ad accostarli, esplodono.
Spegne fuoco, anche quello dei vulcani.
Fa il pane, fa la pasta.
È nel bianco e nel rosso dell’uovo. È nella sua buccia.
È nella carta e nel vino, nelle ciliege e nelle comete.
Chi la spreca verrà assetato.
Ho visto città al buio andare coi secchi al fiume,
ho visto Mostar e Belgrado.
Ho visto il Danubio avvelenato dalle rovine di Pancevo.
Sobborgo di industrie distrutte da una guerra aerea.
Il Danubio in maggio ha avuto la più grande piena del secolo,
gli argini sono tracimati in alluvioni nel sud della Germania.
Il Danubio ha chiesto acqua al cielo per lavarsi e l’ha avuta.
Ma i banchi di aringhe che salgono dal Mar Nero no.
Chi sporca l’acqua verrà sporcato.
Secondo Geremia la voce di lod/Dio è chiasso di acque nei cieli.
Giusta sarà la sorpresa di chi ascolterà la prima domanda, appena morto:
«Quant’acqua hai versato?».
Ognuno di noi sarà pesato a gocce.
Ogni bella giornata di novembre
è quasi sempre un’occasione persa.
La luce ha fretta
la luce di novembre non aspetta
ci pensi sopra e non è più in offerta.
E ci si illanguidisce alla promessa
di una felicità, ah, più che certa
se solo avessi avuto l’accortezza
di predisporre il giusto materiale:
un giro inconcludente in bicicletta
e labbra sfaccendate da baciare.
La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir dè tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira sù ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l'uscio a rimirar
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com'esuli pensieri,
Nel vespero migrar.
4
Come un uscio che aspetti e fuori è il male
Quest’uomo vedi e le staccate mani
Il tormento vitale senza fine
E un dolore di vita vesperale
E il suo languore di vuoto intestino
Stringere e a piedi e visi s’attaccare
E una lampada messa sul malore
Notturno le miserie senza nome
Tra i segni della camera evocate
Torcere arroventare dilatare
Lividezza di grazia lapidata
E’ dappertutto nell’immaginata
Violenza dei misteri delle vite
E la canaglia umana sui teatri
Del suo a rompere rovine darsi
Emette una colomba senza ali
Un bagno vivo di vita distrutta
Una miseria su tutte affacciata
Risposte oscure di vita scavata
Di male proprio nel male di tutti
Viso illunato in un velo sanguato
Stringendosi alla bocca di ogni buio
La luce dentro i corpi torturata
Disegna un malinconico bel viso
Col lungo sangue della sua ferita
E tu eri il suo rantolo infinito
Un gesto oscuro e vago della vita
La tortura di essere la vita
In una carne breve e sciagurata
Tutto il diabolico viso velato
In una camera senza uscita
E i testimoni delle solitudini
Gli occhi di tutto avulsi e sanguinosi
E le vesti sporcate e senza vita
Della bellezza e del terrore umano
Eccoli grande muta testa farsi
Il viso triste che patisce sparso
Tra i sigilli e gli arcani dolorosi
Col suo sangue alla bocca sempre nuovo
Per rovesciarlo in quei silenzi un uomo
Vedi da inutile zelo prostrato;
Dentro il cuore vivente delle ciglia
E’ una lettura di come cucite
Labbra che persero il cielo notturno
E il loro tendere parola muta
Tanto è pensiero d’abisso chiuso
Che lo vedi tramare, essere corpo
Tra le mute ali del contatto umano
Il suo letto d’amore e di tortura
Si disfà si rifà sotto la luna
E il curvo ho sete del piantato umano
Grida alla terra sciagura sciagura
Tu che vortichi vortichi sul piano
Ahi come dentro a con quanto dolore
La luce sfanga nel segreto umano
Vieni al mio espiante anelito creatura o creatura
Vieni inginòcchiati al mio tormento umano
10.
Con quali azioni invece di canzoni
Chiara faremo la tua notte nera
Terra che bruci, terra che dolori
Tristezza d’uomo, malattia d’uomo?
Fare dolore è tutto il vostro fare:
Se tu hai guardato in una faccio d’uomo
Non fare niente; fare bene è non fare
13.
La specie umana miserabile è matura
Da sempre per non essere mai chi suona
Stanotte nella carne – divino archetto
Su una schiena di cane ti strofini
Battuta a morte, magnetico ne sanguini –
Chi nella casa morta non muore?
Io, pietà e lutto dell’inconoscibile
Torso che lotta muto
Tra una ringhiera e uno steccato stretto
E ruota in un olivo livido
Che non ha rive, il cuore.
39.
Questo peso implacabile che attrista
Adorata vergogna di ciascuno
(La tua essenza nascosta è un lazzaretto
Una faccia rinchiusa di colpito)
La piaga sordida dell’io umano,
Gravezza di voragini in un solo
Scarso e solitudine di un nome,
Ricorderai che mai apriva il pugno?
Il grande orrore della faccia umana
E’ questa faccia dentro conficcata
Che con demoni e angeli si bacia;
L’ulcera lamentosa e sconosciuta
Nei corpi i cieli della tenerezza
Incide e slabra, un rigagnolo stinto
Sulla notte dell’anima sfinita
Testa le luci sacrificate
Ricorderai come era stretto il cuore?
In un’arida gola naufragata
Dall’alto era gettata una misura
Di chiaro e crudelmente si rompeva
Sul fondo che non toccano occhi umani.
E piangerai sul tuo feroce grumo
Quando avrai la le dita la strettura
Che è stato, ombra di un’ombra senza cosa?
71.
La porta era chiusa e nera. Dall’interno veniva
Un affannare d’anime che avvolgeva. Qualcuno apriva.
– chi vuol piegare alle lacrime, creatura
Inattesa? Perché ne torchi senza misura
Dai tuoi più di due occhi per darmi pena
E sudario, su un lenzuolo muto di cena? –
Tra un fitto fogliame di vecchie foto, nuda
La nullità erotica, la nostra vita cruda
Si spiava come una sete d’amare in un lenzuolo;
E palpebre fatte mute vidi in un tiepido scolo
Fare parlante il muro.
Nacque un dolcissimo benedire furtivo
Le stanze abitate da tanti accesi
Movimenti di carne e luce, e sognarli
Tutti morti non ne calmava il segreto
Agire di portatori d’impuro
A tutto, in cui era bello fermarli
Nella più misteriosa delle pitture.
E mentre benedicevo mi stupivo
Della mia voce che su tante nuche cadendo
Di dolorose bambole era attratta
In un combattimento senza fine
Tra gli emblemi del vivere e morire:
Lamettina di cataclisma sottile
Una carezza uscita dal grido
Li scorporava dell’apparire.
Oh inducible, suscitata
Da viste pure e impure
Vertigine rara del chiaroscuro!
Sul collo dell’anima cade, la testa vola
Felice, il filo bianco e il filo nero
Con presa di voragine inflessibile
Tra le sue labbra. Non era che una lampada
Su un tavolo, su abisso puro,
E il niente che chiede pane
Di nomi ancora alle sfinite mani
I polsi con più mistero mi succhiava.
72.
Vedo un canino stampo di colèra
Sul viso umano prosciugato, padre
Contratto che guarda fisso
Se c’è pietà, e lo sfregio divino
Brilla sul buio; a quel corpo di vinto
Portatore e cloaca di misteri
Una parola dilla, svegliata
Nelle vie della gola come un medico
Notturno, una foglia tenera
Di pianta umida sul passato
Suo turpe cada.
Guido Ceronetti
Ultima modifica di Tiberio; 31-10-2018 alle 09:49
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi".
si, grande poeta e intellettuale, poco noto al grande pubblico. è morto a settembre di quest'anno
Visto, ho letto di lui.- Non mi sorprende che mi piaccia. Un cioraniano.
Voglio: "Sono fragile e sparo poesia" e "Trafitture di tenerezza"
Già i titoli sono stupendi
peccato non li trovo in formato ebook.
Stasera con calma, mi prendo qualche testo ebook tra quelli disponibili.
L'ommini de sto monno sò ll'istesso
Che vvaghi de caffè nner mascinino:
C'uno prima, uno doppo, e un antro appresso,
Tutti cuanti però vvanno a un distino.
Spesso muteno sito, e ccaccia spesso
Er vago grosso er vago piccinino,
E ss'incarzeno, tutti in zu l'ingresso
Der ferro che li sfraggne in porverino.
E ll'ommini accusì vviveno ar monno
Misticati pe mmano de la sorte
Che sse li ggira tutti in tonno in tonno;
E mmovennose oggnuno, o ppiano, o fforte,
Senza capillo mai caleno a ffonno
Pe ccascà nne la gola de la morte.
[Il caffettiere filosofo]
Gli uomini a questo mondo sono lo stesso
che chicchi di caffè nel macinino:
che uno prima, uno dopo, e l'altro appresso,
tutti quanti però vanno a un destino.
Spesso mutano sito e scaccia spesso
il chicco grosso quello piccolino,
e s'ingorgano tutti sull'ingresso
del ferro che li frulla fino, fino.
E gli uomini così vivono al mondo
mescolati per mano della sorte
che se li gira tutti in tondo in tondo.
E movendosi ognuno, o piano, o forte,
senza capirlo mai calano a fondo
per cascare nella gola della morte.
Sono appena usciti i quattro volumi dei suoi sonetti in un’edizione prestigiosa, a oltre 200 euro. Ci faccio un pensierino, anche se non so ancora se prevede la traduzione in italiano.
tu al mio fianco sulla sabbia,
sei sabbia, tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima,
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia essere felice,
essere felice perché sì, perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo e la sua freschezza.
Verificate ogni parola
verificate ogni riga
non dimenticate mai
con una tesi è possibile
esprimere anche l'antitesi
Diffidate dei titoli
scritti in grassetto
nascondono le cose più importanti
diffidate degli articoli di fondo
delle inserzioni
delle quotazioni
delle lettere al direttore
e delle interviste di fine settimana
anche i sondaggi di opinione sono manipolati
le notizie varie escogitate
da redattori furbetti
diffidate della terza pagina
delle critiche teatrali
i libri per lo più sono migliori dei loro recensori
leggete quello che loro hanno sottaciuto
diffidate anche dei poeti
in loro tutto suona più bello
anche più atemporale
ma non è più vero né più giusto
Non prelevate niente senza averlo verificato
né le parole né le cose
né il conto e neppure la bicicletta
né il latte e neppure l'aragosta
né l'uva e neppure la neve
afferratelo, assaggiatelo, rigiratelo da tutte le parti
mettetevelo tra i denti come una moneta
resiste? ne siete contenti?
IL fuoco è ancora fuoco e il fogliame ancora fogliame
l'aereo è aereo e la rivolta rivolta
una rosa è ancora una rosa?
Non smettete mai
di diffidare dei vostri giornali
anche quando cambiano i redattori
o i governi.
Sovente, per divertirsi, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli marini
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
la nave scivolante sugli amari abissi .
Appena li depongono sulla tolda,
questi re dell'azzurro, goffi e vergognosi,
lasciano cadere miseramente ai loro fianchi,
le grandi, candide ali, come ritirati remi.
Com'è molle e goffo questo viaggiatore alato!
Lui, poco fa così bello, com'è brutto e ridicolo!
Qualcuno gli stuzzica il becco con una pipa
un altro, zoppicando, mima l'infermo che prima volava.
Assomiglia al principe delle nuvole il Poeta,
che rotto alle tempeste irride all'arciere,
ma esiliato in terra, fra gli scherni,
le sue ali di gigante gli impediscono di camminare.