Un uomo nato a Venezia da poveri parenti, senza beni di fortuna e senza nessuno di que' titoli che nelle città distinguono le famiglie dalle ordinarie del popolo, ma educato, come piacque a Dio, nella guisa di quelli che sono destinati a tutt'altro fuorché a mestieri coltivati dal volgo, ebbe la disgrazia, nell'età di ventisett'anni, di incorrere nell'indignazione del governo; e, nell'età di vent'otto, ebbe la fortuna di fuggire dalle sacre mani di quella giustizia, della quale non soffriva di buona voglia il castigo. Fortunato è quel reo che può in pace soffrire la pena che meritò, aspettandone il termine con rassegnata pazienza; infelice è l'altro che, dopo aver errato, non ha il coraggio di compensare le sue colpe e cancellarle, soccombendo puntualmente alla sua condanna. Questo veneziano era un intollerante; fuggì, malgrado che avesse preveduto che, fuggendo, si esponea al rischio di perdere la vita, della quale senza la libertà non sapea qual uso fare; e forse egli non ragionò tanto, ma fuggì ascoltando solamente, come fanno i più vili animali, la semplice voce della natura. Se quel governo, dalla disciplina del quale egli fuggia, avesse voluto, l'avrebbe sicuramente fatto arrestare in viaggio, ma non se ne curò e lasciò in tal guisa che il mal avveduto giovine andasse ad esperimentare che, per vaghezza di libertà, l'uomo si espone spesso a vicende assai più crudeli di una passaggera schiavitù. Un prigioniero che fugge non sveglia mai nella mente che il condannò sentimento d'ira, ma bensì di pietà, poiché fuggendo accresce, cieco, i propri mali, rinunzia al bene del proprio ristabilimento in patria, e resta reo, com'era avanti che cominciasse ad espiare il suo delitto.
Questo veneziano, in somma, in preda del fuoco della sua età, uscì dello Stato per la via più lunga, poiché sapea che la più corta è per lo più fatale a chi fugge, ed andò a Monaco in Baviera, dove stette un mese per ristabilirsi in salute e provvedersi di denaro e di onesto equipaggio, e poi, attraversando la Svevia, l'Alsazia, la Lorena e la Ciampagna, giunse a Versailles il giorno 5 di Gennaio dell'anno 1757, mezz'ora avanti che il fanatico Damien desse la coltellata al re Luigi XV di felice memoria.
Quest'uomo, divenuto avventuriere per forza, poiché tale è chiunque va non ricco pel mondo in disgrazia della sua patria, provò in Parigi i straordinari favori della fortuna e ne abusò. Passò in Olanda, dove condusse a fine affari che gli produssero rilevanti somme, che consumò; ed andò poi in Inghilterra, dove una malnata passione gli fe' quasi perdere il cervello e la vita. Lasciò l'Inghilterra nell'anno 1764, e per la Fiandra francese entrò ne' Paesi Bassi austriaci, passò il Reno, e per il Vesel entrò in Vestfalia, scorse i paesi di Annover e di Brunsvich, e giunse per Magdeburgo a Berlino, capitale del Brandeburgo. In due mesi che vi soggiornò, e nei quali si abboccò due volte col re Federico, grazia che facilmente S. M. accorda a tutti que' forastieri che gliela dimandano per iscritto, conobbe che servendo quel re non avea luogo di sperar gran fortuna, onde partì con un servo e con un lorenese ben istrutto nelle matematiche, che prese seco in qualità di suo segretario: avend'egli intenzione di andar a cercar fortuna in Russia, un uomo tale gli era necessario. Si fermò egli pochi giorni a Danzica, pochi in Königsberg capitale della Russia ducale, e costeggiando il mar Baltico giunse in Mitavia capitale della Curlandia, dove passò un mese, molto onorato dall'illustre duca Gio. Ernesto de Birhen, a spese del quale egli scorse tutte le miniere di ferro del ducato; onde partì poi generosamente ricompensato, attesoché egli suggerì a quel sovrano e dimostrò i modi di stabilire in quelle utilissimi miglioramenti. Lasciata la Curlandia, si fermò poco in Livonia, scorse la Carelia e l'Estonia e tutte quelle provincie, ed arrivò nell'Ingria a Pietroburgo, dove avrebbe trovato quella fortuna che