il primo passo utile dovrebbe essere quello di riconoscere apertamente il proprio e l'altrui egoismo di relazione; cioè, stai con quella persona perché ne trai una gratificazione;
se c'è questa consapevolezza e si accetta questo contratto, il benessere altrui coincide col proprio; se una persona, col suo modo di essere, rispecchia il mio modo di vedere le cose, osserva aspetti analoghi, ride delle cose di cui rido io, ha un linguaggio e allusioni complici, la gentilezza viene da sé, perché è anche un'attenzione verso me stesso, dato che ho piacere a vedere quella persona potenziata, a suo agio;
ma se non si vede l'egoismo in sé e nell'altro, la strumentalizzazione "buona" lascia il posto a quella conflittuale, in cui io ho ragione e quella fa i cazzi suoi, rompendo un patto di cui ho frainteso il fondamento;
ovviamente, il presupposto è che le due persone siano compatibili in una modalità relativamente gioiosa; il modo di fare del partner deve essere divertente, ti deve far sorridere, sennò è un incubo;
questa per me è sempre stata la prima cosa, essenziale, e ha sempre prodotto gentilezze spontanee; se i modi di fare e di pensare, difetti inclusi - anzi, quelli soprattutto - non mi ispiravano sorrisi e tenerezza, non c'era proprio vela, anche con una brava e bella persona.