Quando avevo 22-23 anni ebbi delle grosse crisi di panico, dovuto al bolo isterico. La gola sembra chiudersi. Corse all'ospedale, dormivo vestito per andarci prima, poi mi resi conto che al 95% non era niente e anche se non mi bastava, dovevo smetterla di pensarci. E dovevo imparare a ignorare quella certezza che stessi per morire mentre c'era, non prima o dopo, quando sentivo stringere forte e il panico prendeva il sopravvento, perché la sensazione era reale come la realtà. Non c'era tempo per andare all'ospedale se fosse stato vero, comunque.
Poi una sera mi venne un dolore fortissimo al petto. Ero a casa a Firenze. Mi cacai sotto, ma pensai che non avevo fatto testamento per la mia ex-moglie, e che se fosse stato un infarto forse non avrei avuto tempo. Mi misi a scrivere senza chiamare ambulanze ma con tanti pensieri di morte, e lo feci solo dopo aver finito e mandato un messaggio a lei per dirle dov'era. Fui anche preso per il culo per questopoi era una contrattura.
Ecco, queste cose mi hanno rifatto pensare al tutto. Niente di meglio di un bell'attacco di paura, sempre che poi ci si sforzi di trattenere la lezione perché non è automatico, semmai lo è il contrario.
Avevo paura della gastroscopia. Niente sedazione profonda. Io ho l'urto del vomito se solo spingo lo spazzolino troppo in fondo... poi la feci e non fu niente di bello, ma niente di orribile. E se la morte fosse questo, aldilà della somma dei pensieri che ci facciamo in merito in vita? Bella fregatura. Non è morte se si accetta, tantomeno se si tiene in casa una scatola di gardenale per quando non ci piacerà la fine del film. La religione ha imbrigliato questi pensieri dando un suggello di oggettività alle proprie speranze e e per dare risposte che siamo troppo impauriti a darci da soli -anche religiose fatti di ognuno- ma senza intermediari, e chiaramente soprattutto quelle abramitiche col cavolo che vogliono che tu ne abbia il controllo. A che servono loro poi se passa la paura?