Turandot di Puccini,

fra mille polemiche sulla scenografia sul quotidiano locale. A me non è parsa troppo azzardata, anzi: le gabbie in cui cantavano alcuni protagonisti ricordano l’inaccessibilità della città proibita e la loro gabbia emotiva, specie di Turandot. Niente di che. Ed il popolino (il coro) in grigio per marcarne la distanza rispetto all’imperatore ed alla principessa.



Un allestimento interessante, con bravissimi protagonisti, soprattutto il tenore Amadi Lagha, un Calaf di lusso per baldanza vocale, generosità e voce dal bel timbro solare, e il soprano Kristina Kolar nei panni di Turandot, che ha tratteggiato in modo imperioso grazie a una voce grande e importante, svettante negli acuti e omogenea nella linea di canto. Anche il coro del teatro Verdi ha dato una grande prova di sé accanto al direttore d’orchestra, Nikša Bareza, che di Turandot ha dato una lettura al calor bianco, barbarica, forse un po’ troppo sbilanciata sul forte o fortissimo nelle dinamiche e ondivaga nelle agogiche ma vivacissima, efficace e convincente.

Per tutti, l’aria più famosa dell’opera.

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