Risultati da 1 a 15 di 55

Discussione: Leopardi - Canti

Visualizzazione Elencata

Messaggio precedente Messaggio precedente   Nuovo messaggio Nuovo messaggio
  1. #10
    Opinionista L'avatar di Tiberio
    Data Registrazione
    16/08/16
    Messaggi
    3,530
    XXII - LE RICORDANZE

    Vaghe stelle dell'Orsa, io non credea
    Tornare ancor per uso a contemplarvi
    Sul paterno giardino scintillanti,
    E ragionar con voi dalle finestre
    Di questo albergo ove abitai fanciullo,
    E delle gioie mie vidi la fine.
    Quante immagini un tempo, e quante fole
    Creommi nel pensier l'aspetto vostro
    E delle luci a voi compagne! allora
    Che, tacito, seduto in verde zolla,
    Delle sere io solea passar gran parte
    Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
    Della rana rimota alla campagna!
    E la lucciola errava appo le siepi
    E in su l'aiuole, susurrando al vento
    I viali odorati, ed i cipressi
    Là nella selva; e sotto al patrio tetto
    Sonavan voci alterne, e le tranquille
    Opre de' servi. E che pensieri immensi,
    Che dolci sogni mi spiro' la vista
    Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
    Che di qua scopro, e che varcare un giorno
    Io mi pensava, arcani mondi, arcana
    Felicità fingendo al viver mio!
    Ignaro del mio fato, e quante volte
    Questa mia vita dolorosa e nuda
    Volentier con la morte avrei cangiato.

    Né mi diceva il cor che l'età verde
    Sarei dannato a consumare in questo
    Natio borgo selvaggio, intra una gente
    Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso
    Argomento di riso e di trastullo,
    Son dottrina e saper; che m'odia e fugge,
    Per invidia non già, che non mi tiene
    Maggior di se, ma perché tale estima
    Ch'io mi tenga in cor mio, sebben di fuori
    A persona giammai non ne fo segno.
    Qui passo gli anni, abbandonato, occulto,
    Senz'amor, senza vita; ed aspro a forza
    Tra lo stuol de' malevoli divengo:
    Qui di pietà mi spoglio e di virtudi,
    E sprezzator degli uomini mi rendo,
    Per la greggia ch'ho appresso: e intanto vola
    Il caro tempo giovanil; più caro
    Che la fama e l'allor, più che la pura
    Luce del giorno, e lo spirar: ti perdo
    Senza un diletto, inutilmente, in questo
    Soggiorno disumano, intra gli affanni,
    O dell'arida vita unico fiore.

    Viene il vento recando il suon dell'ora
    Dalla torre del borgo. Era conforto
    Questo suon, mi rimembra, alle mie notti,
    Quando fanciullo, nella buia stanza,
    Per assidui terrori io vigilava,
    Sospirando il mattin. Qui non è cosa
    Ch'io vegga o senta, onde un'immagin dentro
    Non torni, e un dolce rimembrar non sorga.
    Dolce per se; ma con dolor sottentra
    Il pensier del presente, un van desio
    Del passato, ancor tristo, e il dire: io fui.
    Quella loggia colà, volta agli estremi
    Raggi del dÄ—; queste dipinte mura,
    Quei figurati armenti, e il Sol che nasce
    Su romita campagna, agli ozi miei
    Porser mille diletti allor che al fianco
    M'era, parlando, il mio possente errore
    Sempre, ov'io fossi. In queste sale antiche,
    Al chiaror delle nevi, intorno a queste
    Ampie finestre sibilando il vento,
    Rimbombaro i sollazzi e le festose
    Mie voci al tempo che l'acerbo, indegno
    Mistero delle cose a noi si mostra
    Pien di dolcezza; indelibata, intera
    Il garzoncel, come inesperto amante,
    La sua vita ingannevole vagheggia,
    E celeste beltà fingendo ammira.

    O speranze, speranze; ameni inganni
    Della mia prima età! sempre, parlando,
    Ritorno a voi; che per andar di tempo,
    Per variar d'affetti e di pensieri,
    Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,
    Son la gloria e l'onor; diletti e beni
    Mero desio; non ha la vita un frutto,
    Inutile miseria. E sebben vóti
    Son gli anni miei, sebben deserto, oscuro
    Il mio stato mortal, poco mi toglie
    La fortuna, ben veggo. Ahi, ma qualvolta
    A voi ripenso, o mie speranze antiche,
    Ed a quel caro immaginar mio primo;
    Indi riguardo il viver mio sÄ— vile
    E sė dolente, e che la morte è quello
    Che di cotanta speme oggi m'avanza;
    Sento serrarmi il cor, sento ch'al tutto
    Consolarmi non so del mio destino.
    E quando pur questa invocata morte
    Sarammi allato, e sarà giunto il fine
    Della sventura mia; quando la terra
    Mi fia straniera valle, e dal mio sguardo
    Fuggira' l'avvenir; di voi per certo
    Risovverrammi; e quell'imago ancora
    Sospirar mi farà, farammi acerbo
    L'esser vissuto indarno, e la dolcezza
    Del dÄ— fatal temperera' d'affanno.

    E già nel primo giovanil tumulto
    Di contenti, d'angosce e di desio,
    Morte chiamai più volte, e lungamente
    Mi sedetti colà su la fontana
    Pensoso di cessar dentro quell'acque
    La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco
    Malor, condotto della vita in forse,
    Piansi la bella giovanezza, e il fiore
    De' miei poveri dÄ—, che sÄ— per tempo
    Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso
    Sul conscio letto, dolorosamente
    Alla fioca lucerna poetando,
    Lamentai co' silenzi e con la notte
    Il fuggitivo spirto, ed a me stesso
    In sul languir cantai funereo canto.
    [Ndr: cfr. L'appressamento della morte, 1818]

    Chi rimembrar vi può senza sospiri,
    O primo entrar di giovinezza, o giorni
    Vezzosi, inenarrabili, allor quando
    Al rapito mortal primieramente
    Sorridon le donzelle; a gara intorno
    Ogni cosa sorride; invidia tace,
    Non desta ancora ovver benigna; e quasi
    (Inusitata maraviglia!) il mondo
    La destra soccorrevole gli porge,
    Scusa gli errori suoi, festeggia il novo
    Suo venir nella vita, ed inchinando
    Mostra che per signor l'accolga e chiami?
    Fugaci giorni! a somigliar d'un lampo
    Son dileguati. E qual mortale ignaro
    Di sventura esser può, se a lui già scorsa
    Quella vaga stagion, se il suo buon tempo,
    Se giovanezza, ahi giovanezza, è spenta?

    O Nerina! e di te forse non odo
    Questi luoghi parlar? caduta forse
    Dal mio pensier sei tu? Dove sei gita,
    Che qui sola di te la ricordanza
    Trovo, dolcezza mia? Più non ti vede
    Questa Terra natal: quella finestra,
    Ond'eri usata favellarmi, ed onde
    Mesto riluce delle stelle il raggio,
    E' deserta. Ove sei, che più non odo
    La tua voce sonar, siccome un giorno,
    Quando soleva ogni lontano accento
    Del labbro tuo, ch'a me giungesse, il volto
    Scolorarmi? Altro tempo. I giorni tuoi
    Furo, mio dolce amor. Passasti. Ad altri
    Il passar per la terra oggi è sortito,
    E l'abitar questi odorati colli.
    Ma rapida passasti; e come un sogno
    Fu la tua vita. Ivi danzando; in fronte
    La gioia ti splendea, splendea negli occhi
    Quel confidente immaginar, quel lume
    Di gioventù, quando spegneali il fato,
    E giacevi. Ahi Nerina! In cor mi regna
    L'antico amor. Se a feste anco talvolta,
    Se a radunanze io movo, infra me stesso
    Dico: o Nerina, a radunanze, a feste
    Tu non ti acconci più, tu più non movi.
    Se torna maggio, e ramoscelli e suoni
    Van gli amanti recando alle fanciulle,
    Dico: Nerina mia, per te non torna
    Primavera giammai, non torna amore.
    Ogni giorno sereno, ogni fiorita
    Piaggia ch'io miro, ogni goder ch'io sento,
    Dico: Nerina or più non gode; i campi,
    L'aria non mira. Ahi tu passasti, eterno
    Sospiro mio: passasti: e fia compagna
    D'ogni mio vago immaginar, di tutti
    I miei teneri sensi, i tristi e cari
    Moti del cor, la rimembranza acerba.
    Ultima modifica di Tiberio; 12-03-2020 alle 19:35
    "Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi".

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
  • Il codice BB � Attivato
  • Le faccine sono Attivato
  • Il codice [IMG] � Attivato
  • Il codice [VIDEO] � Attivato
  • Il codice HTML � Disattivato