l'altro si strumentalizza, sempre; il punto è solo se si tratta di una condizione reciprocamente vantaggiosa, oppure squilibrata;
il cambiamento - positivo, ovviamente - genera un sentimento di gratitudine nei confronti del partner, cui vengono riconosciute qualità infungibili che hanno consentito quel percorso positivo; gli esempi potrebbero essere molti: un partner che innesca una coscienza del desiderio sessuale e legittima quest'ultimo, a fronte di un'educazione repressiva; oppure che sostiene e persuade in modo convincente a perseguire una passione, una carriera, o genera fiducia sulla capacità di essere genitore; insomma, innesca la sovversione di un equilibro gravato da blocchi e zavorre, e così libera energie creative;
ovviamente, si può anche amare genuinamente qualcuno che soccorra nel senso opposto, cioè aiuti ad evitare un cambiamento che si teme: un partner tiepido che controlla e limita una sessualità che si teme, o la competizione nel lavoro e nelle responsabilità di famiglia;
ma, siccome in genere quella conservazione gioca a favore di equilibri etero-diretti, educativi, in conflitto con desideri e pulsioni, si fonda su paure, il bilancio retrospettivo di questi amori conservativi è più spesso decisamente amaro, perché il partner viene visto - anche senza che ne abbia direttamente colpa o coscienza - come uno degli elementi di una prigionia, o al più un'ancora o una zavorra;
l'asimmetria di questo schema sta nel fatto che, mentre un partner di conservazione può a sua volta strumentalizzare in modo impersonale, per esigenze analoghe - come nel caso del matrimonio tradizionale, evento sociale e patrimoniale, combinato, di classe, di opportunità, o semplicemente per affrancarsi dalla famiglia d'origine - nel caso del cambiamento la personalità e le qualità di quel partner diventano essenziali, infungibili, perché si tratta, appunto, di sovvertire quanto nel momento è in equilibrio;
messa così, sembra una tesi un po' fumosa e astratta;
ma, quando si vanno ad osservare coppie di lungo corso in crisi grave, o dopo la rottura, i discorsi e le motivazioni che si possono ascoltare sono abbastanza rivelatori, almeno per la mia esperienza, per quanto limitata; nelle unioni di conservazione spesso emerge il tema di un partner castrante, che ha sostituito quel ruolo di limitazione della famiglia e dell'ambiente culturale di provenienza e il sentimento di essere stati strumentalizzati si percepisce in modo unilaterale; qualcuno, assistito dall'analisi o più colto si rende conto della circostanza bilaterale, ma resta il senso di fallimento, di quell'originaria rinuncia a liberarsi di certi vincoli e affermare la propria personalità;
nelle relazioni sovversive, al contrario, per quanto le rotture possano essere dolorose, resta anche in retrospettiva una certa misura di gratitudine e dolcezza per quell'energia originaria che ha trasformato, scaturita dalle qualità infungibili, dalla personalità del partner;
del resto, ci sono millenni di letteratura in cui l'amore è descritto come sovversione dei ruoli sociali; Isotta cornificava re Marke con Tristano, Romeo e Giulietta appartenevano a famiglie in guerra tra loro, per non parlare di tutti gli amori interclassisti, ecc...
ovviamente, ho semplificato; tra il bianco e il nero c'è molto grigio; ma certi estremi sono osservabili, volendo.