Originariamente Scritto da
axeUgene
qui la questione non riguarda i cattolici - per i quali la cosa dovrebbe essere più o meno ovvia - ma un preteso Bene comune, ossia una morale pubblica, per come la intende Cono;
ora, dobbiamo intendere - come società, intendo - il matrimonio e istituti o condizioni assimilabili, come legami fondati essenzialmente sul sentimento, spontaneo, oppure no ? in questo caso, se il sentimento è elemento essenziale di quel negozio giuridico, va da sé che potendo mutare quel sentimento viene a decadere anche un presupposto essenziale di quel vincolo;
altrimenti, si statuisce che il vincolo prevale sul sentimento, perché si considera valore sociale - cioè, il comportamento di chi intenda sciogliere quel vincolo danneggia la società, e allora il caveat è che quel comportamento vada vietato, per legge, motivatamente e in modo articolato, visto che comporta una limitazione alla libertà personale;
può darsi che per un cattolico osservante sia essenziale non divorziare, onorando così il sacramento; ma poi si pone la questione di conformità evangelica nel trattenere il coniuge renitente, contro il suo volere, ma a favore di un personale status quo che si trova soddisfacente;
cioè, se mia moglie non mi ama più e magari ama un altro, quanto è cristiano trattenerla in nome del sacramento, ma anche del set di servizi e garanzie che quella mi offre, dai calzini lavati e camicie stirate, fino ai cd doveri coniugali ?
visto che la religione cristiana, e non solo la confessione cattolica, postulano precetti morali che si intendono universali, rivolti ad un generale apprezzamento, anche di chi non abbia ancora la fede, la domanda a cui va risposto è: è una colpa, un peccato, ecc... non amare più ?
se andiamo a vedere la procedura, che spiega sempre bene il senso delle istituzioni, persino la Rota considera eventuali vizi originari della volontà, benché il matrimonio sia stato consumato, con figli, ecc... anche a distanza di decenni.