beh, in effetti quello che succede in realtà è che l'argomento che ho riportato semplicemente non viene tirato in ballo; ma difficilmente potrebbe trovare opposizione, perché sposta la titolarità, la sottrae a quell'esclusiva;
ordinariamente, quello che succede è che l'esclusione avviene su una base diversa; per esempio, sulla questione dell'aborto può esserci un'argomentazione femminista di rilievo sostanziale che esclude gli uomini; qui però c'è effettivamente un conflitto tra due principi, tra l'asserita tutela della "vita" embrionale, e la disponibilità del proprio corpo come diritto inalienabile; non credo che il parere di un uomo che si pronunciasse a favore della libera scelta sarebbe cassato come ideologicamente irrilevante; qui, un fondamento esclusivo interviene - solo fino ad un termine convenzionale di specificazione dell'individuo umano che diventa a sua volta titolare di un diritto - in termini di raffronto tra diritto alla propria esclusività corporea ed emotiva e pretesa di paternità o di tutela sociale della procreazione come valore superiore; ma, in questo, la legge è abbastanza chiara;
ad ogni modo, l'osservazione che muovevo non riguarda una questione in sé di legalità, che può sembrare una technicality, ma proprio una cosa di filosofia della politica, anche se descritta come profilo giuridico;
cioè, se un gay o un'associazione di omosessuali per motivi qualsiasi decidesse che la discriminazione va bene, non avrebbe comunque la titolarità per pronunciarsi su un diritto conferito all'individuo, e che vale erga omnes, per tutti, come tutti i diritti;
e questo perché il diritto degli appartenenti ad una determinata categoria è sempre "figlio" di un principio/diritto generale, come quello di non essere discriminati per le proprie propensioni sessuali;
ora, siccome la legittimazione della discriminazione specifica produrrebbe, per analogia, la possibilità di discriminare altrimenti, semplicemente cambiando i termini; se passasse quel principio, io potrei essere discriminato perché mi piacciono solo, che so, le donne dai capelli rossi, visto che colui che mi discrimina potrebbe far valere quella facoltà come legittima;
quindi, dirsi "femminista", non sarebbe altro che la coniugazione puntuale dell'ideologia egualitaria, che vieta la discriminazione per condizione di nascita, e mi riguarda anche se non sono donna, posto che avrei comunque titolo derivato per tutelare affetti e famigliari di genere femminile, ecc...
chiaramente, la declinazione di un'ideologia può essere diversa; ci possono essere estremisti che rifiutano le quote rosa, in nome di un'esigenza/ricerca di una pressione massimalista che rifiuta quella che viene avvertita come una sorta di "elemosina"; d'altro canto, io posso sostenere che, date circostanze oggettive di impedimento diffuso, un intervento riequilbratore può essere necessario e conforme alla finalità di realizzare pari opportunità, e magari essere contestato in quanto uomo per una scelta ritenuta retaggio di maschilismo elemosiniere e ipocrita;
al fondo, volendo fare un po' di chiarezza, si è ideologicamente inquadrabili se si sostiene come necessario l'elemento essenziale e imprescindibile di un'ideologia; non puoi essere nazista se non sei antisemita; non puoi essere propriamente cristiano se non credi davvero alla resurrezione di Gesù; né comunista se ammetti la proprietà privata dei mezzi di produzione;
ora, per quel che posso vedere, il postulato dirimente del femminismo è la considerazione che la donna sia generalmente discriminata in modo sfavorevole, sistematico e sulla base di assunti culturali, e che tali presupposti discriminatori vadano attivamente rimossi e sia necessario agire e collaborare a questo fine;
chi concorda su questo e agisce in misura ragionevolmente coerente è da ritenersi femminista, direi.