Provo ora a parlare di almeno 4 anni della mia vita nei quali mi sono sentito proiettato in una dimensione di incubo assai difficile da descrivere, anche per me che insegnavo Italiano, ma non si tratta certo di un problema linguistico. So già che non ce la farò con un solo post, se parlo di certe cose personali non riesco a farlo in modo superficiale e sbrigativo, mi scuso per questo.
Devo premettere che per carattere la mia tendenza è stata sempre quella di non riuscire a dare risposte adeguate agli eventi negativi che mi sono trovato ad affrontare. Fin da piccolo ho vissuto traumi che mi hanno bloccato psicologicamente e reso incapace di vivere una vita normale. A soli 10 anni di età un avvenimento che ha interrotto bruscamente quel certo clima di serenità infantile, per quanto minacciato nel mio caso da forti sensi di inferiorità. Mi avevano mandato presso una colonia montana per un mese; di certo i miei genitori non potevano immaginare che lì avrei subito atti di immotivata violenza e bullismo da alcuni coetanei. Sono stato picchiato ferocemente solo perché mi vedevano "diverso", nel senso di debole ed ingenuo. E il peggio era che le "signorine" che dovevano badare a noi non avevano alcuna intenzione di difendermi. Io ero completamente impreparato ad episodi del genere, avevo pensato a una bella vacanza in compagnia, già allora amavo la montagna. Tanto fu il dolore per l'emarginazione e le violenze fisiche subite, che a un certo punto (ricordo come se fosse adesso, sono passati quasi 60 anni) qualcosa in me si spezzò. E non potei essere più quello di prima, ma faccio fatica a descrivere cosa accadde dentro di me. Il panorama intorno era meraviglioso, verdi montagne, bellissimi fiori, aria fresca e pulita...Ed io chiuso nel mio sordo dolore, violentato nell'intimo più che nel corpo, istupidito dal palesarsi di un mondo ostile, nemico che non conoscevo e non avrei mai immaginato potesse esistere. Sparì il panorama, non sentivo più le grida degli altri bambini, l'universo sembrò rovesciarsi e mi ritrovai preda di un capogiro immenso. Fui un'altra persona, spaurita, chiusa in se stessa, chiusa al mondo intorno...Sperai che questa terribile cappa che mi era piombata addosso, una volta tornato a casa, si sarebbe dissolta. Non si dissolse. Mai. Da allora, anche in quei pochi momenti di serenità che ero destinato a vivere, sentii sempre come una barriera (protettiva?) che mi separava da tutto quello che mi circondava. Un'esperienza che doveva segnare tutta la mia vita. Molti, molti anni dopo, la mia guida spirituale (ne parlerò in seguito) mi disse che in quel momento avevo cominciato a scontare quello che era il mio karma (parolaccia che uso per semplificare, ma voglio chiarire che non sono un seguace di cose tipo "new age").
Avevo sì sperato che tornare al mio mondo, con gli affetti e l'ambiente conosciuto, mi avrebbe ridato un senso di normalità, ma appunto non poté essere così. E neppure potevo molto parlare di quello che mi era successo, mi avrebbero compreso solo in maniera superficiale. Del resto anch'io a quell'età non potevo essere consapevole di tante cose, perfino adesso esiste qualcosa che mi sfugge riguardo tanti eventi.
Questo trauma fondamentale dentro di me lo ricondussi anni fa come base per i miei ricorrenti stati depressivi. Ma poiché (almeno in me) ansia e depressione si sono sempre accoppiati come latte e caffè, parlerò ora del mio secondo enorme trauma, accaduto un paio di anni dopo, alla base invece degli stati di ansia e degli attacchi di panico.
Agosto, ero al mare con i miei genitori. La giornata era buia, livida, al ricordo mi pare anche strano che ci fossimo recati sulla spiaggia con un tempo simile. Il mare era mosso, sulla riva la bandiera rossa per il divieto di balneazione. A un certo punto si udirono delle grida, il pattino del bagnino si mise in acqua per soccorrere un ragazzo che si era avventurato in mezzo alle onde. Riuscirono in qualche modo a riportarlo a riva. Fu allora che mi staccai dai miei genitori per avvicinarmi a vedere cosa accadeva. Perché non fui fermato, perché? Così vidi praticare la respirazione artificiale a quel ragazzo. Purtroppo invano, il ragazzo morì. La cosa, avendola vista da vicino, mi scioccò, rimasi terrorizzato. Tornati a casa, la sera, andato a letto, ripensavo a quanto avevo visto. E rivedendo la scena, a poco a poco l'ansia saliva, il respiro diventava più affannoso, il senso di morte penetrava dentro di me. Era un attacco di panico devastante, ma io che ne sapevo degli attacchi di panico? I miei genitori che ne sapevano? Quanto si parlava di queste cose nel 1963? In quei momenti fui sicuro di stare per morire. Mio padre, povero ignorante, parlando con mia madre disse: "Adesso perché ha visto uno morire vuole morire pure lui?". Non dimenticherò mai queste parole, aumentarono ancora l'ansia, se mai era possibile. Stetti male per tre giorni, si può dire che fu un attacco di panico che durò, con varia intensità per tre giorni.
Dopo di allora vissi vari periodi di ansia depressione, che duravano vari mesi nascendo di solito da episodi precisi. Se volete continuerò a parlarne...fino ad arrivare a pochi anni fa, con l'imprevista e speriamo stabile soluzione...