Il regno di Tiberio era, a rigor di legge, un regno costituzionale; ma, nella realtà, non lo era affatto. Nel periodo iniziale del suo governo, l’imperatore si mostrò sempre molto deferente verso il senato, sottoponendo ad esso anche le questioni di minore importanza. Si faceva un dovere di essere presente alle sedute dell’augusto consesso, e vi teneva discorsi, spesso schierandosi con la minoranza. Talvolta si approvavano decreti contro i suoi stessi desideri, e Tiberio non se la prendeva. Circolavano moti di spirito su di lui e la sua famiglia; se glieli riferivano, rispondeva che l’impero doveva godere di piena libertà di parola e di pensiero.
Tacito era uno dei suoi oppositori, ma riconosceva che le nomine d’ufficio inviate al senato dall’imperatore erano “fatte con discernimento”.
Quel che Tiberio voleva era una Roma dei vecchi tempi, una Roma in cui i consoli, i procuratori e gli altri magistrati godessero delle piene prerogative del loro grado; desiderava pace lungo le frontiere e che non s’imponessero nuove tasse né si reprimessero i popoli soggetti; invitava chiunque non fosse d’accordo con lui a presentare la questione all’organo competente.
All’età di cinquantasei anni, aveva assunto il trono con ben scarsa conoscenza dei problemi economici. Ora, a settant’anni, aveva una grande esperienza in materia. Basti ricordare che, quando aveva iniziato il suo regno, nelle casse dell’erario non v’erano più di cento milioni di sesterzi. Quando morì, lasciò 2 miliardi e settecento milioni.
Il rigoroso rispetto della legge e dei diritti altrui durò solo per i primi nove anni del suo regno. Durante questo periodo, egli dichiarò più volte di derivare la sua potestà dal senato e dal popolo, e di essere soltanto il magistrato supremo della nazione.
Se, più tardi, divenne a poco a poco un autocrate, Il motivo va ricercato nella legge romana, secondo la quale Cesare era signore assoluto nelle province ma in patria un semplice funzionario nominato dal popolo.
Questo duplice aspetto del suo potere creò a lungo andare una situazione insostenibile; col tempo, il lato autocratico di quella carica si manifestò anche a Roma. Cesare divenne signore assoluto tanto in patria quanto fuori. Un potere sempre più grande si concentrò in un numero di mani sempre più ristrette; la nomina dei magistrati a Roma divenne un favore per amici; nel suo quindicesimo anno di regno, Tiberio dislocò fuori delle mura di Roma una grossa guarnigione militare che rispondeva esclusivamente a lui. Tale guarnigione era un’acuta minaccia per tutti gli oppositori di Tiberio, ma anche una minaccia latente per lui.

Fine seconda parte.