allora, il punto è che quel mito/narrazione della disobbedienza nasce evidentemente in un momento/stato filosofico antecedente e/o parallelo ad una revisione sistematica del costrutto narrativo, alla luce del pensiero ellenizzato;
su questa cosa ho grandi limiti, e forse esterno potrebbe esserci di aiuto quanto a tempistica e sistematica;
quello che si può ipotizzare è che nel contesto dell'irrazionalismo mistico ebraico pre-ellenista le narrazioni potessero tranquillamente coesistere senza che si ponesse esplicitamente la contraddizione tra atti divini ove si presupponeva o implicava la pre-cognizione del futuro e la stessa attitudine divina a giudicare le azioni, sebbene in molti passi - di cui però non sono in grado di indicare datazione e relativi concatenamenti logici e concettuali - sembra essere già chiara una nozione di totale arbitrio divino, ad escludere la rilevanza delle azioni umane;
ora, l'antipaticissimo e vituperatissimo Paolo, nella sua follia esprime una brillante soluzione da pensiero laterale - quasi scacchistico, direi- perché nella sua foga anti-clericale recide il vincolo/mandato divino col clero della religione organizzata, e rimanda il sistema premiale alla stessa coscienza/sentimento individuale, in cui la Legge non è più quella scritta, ma quella avvertita in coscienza;
nozione che si è rivelata come un bel guaio, una bomba ad orologeria anche per il nuovo clero della croce; smontato uno, smontati tutti;
tanto è forte l'attrazione del nucleo di coscienza, che persino la Chiesa cattolica - seppure con grande fatica e contraddizioni - alla fine deve argomentare la punizione come auto-inflitta privazione di una comunione con Dio, piuttosto che come azione divina ex-post.