guarda, se partiamo dalla metafisica, diventa tutto inutilmente complicato;
tutta 'ssa fresca del libero arbitrio vs servo arbitrio si capisce molto meglio se si parte dalle conclusioni, per risalire su per li rami:
dunque, Paolo vuol convertire i cittadini romani, quelli non ebrei; quindi aggira il loro orgoglio, dicendo che sono quelli che non hanno Legge, ma sono legge a se stessì ; cioè, sostiene che anche se quelli non sono circoncisi ed ebrei, Dio comunque istilla nella loro coscienza un sentimento di giustizia, tale che comunque i pensieri si scusano e si accusano;
e al tempo stesso invita alla conversione gli stessi ebrei, nel senso di liberarsi dalla soggezione al clero;
questo perché la coscienza non è licenza, come teme il clericale, più o meno interessato; infatti, hai tre ipotesi; se:
a) il comportamento coincide col precetto, non si pone il problema; non rubi;
b) se rubi, ti nascondi o inventi scuse, perché sai che è male; i tuoi pensieri si accusano e non ti giustificano; la questione, però, diventa interessante nel caso
c) il clero ti dice una cosa, ma il tuo sentimento di giustizia ti dice che è sbagliata; es. il vescovo ti vende l'indulgenza, ti spilla quattrini in cambio del perdono; magari tu hai quei soldi, ma in coscienza pensi: questo non è giusto, perché io potrei non essere affatto pentito e sostituire quel pentimento pagando; non posso comprare qualcosa che solo Dio può darmi, se constata il mio autentico pentimento;
così, Paolo, riprendendo le Scritture in quel famoso cap. 9, scavalca il clero, perché attribuisce alla predestinazione divina l'intervento diretto sulla coscienza, e questo ha un rilievo enorme nel momento in cui si verifica un conflitto del tipo di quello al punto c)
che è lo stesso che hai materialmente tu quando discuti con Cono delle tue soluzioni famigliari: quello ti obietta la tua trasgressione, ma tu gli contrapponi la tua valutazione di giustizia secondo la tua coscienza;
nella concezione clericale, tu avresti il libero arbitrio, ma la tua coscienza è tabula rasa; cioè sei libero, ma solo a fronte del dettato magistrale del clero, unico depositario del volere divino, non di altro; quindi, obbedisci a quello, e allora sei giusto; ma se disobbedisci sei automaticamente nel peccato e dannabile; ci sei ?
nel caso del servo arbitro, questo è tale perché è Dio stesso che ti ha impresso nella coscienza un sentimento di giustizia che, provenendo da Dio stesso, scavalca e supera il dettato magistrale del clero - all'epoca quello ebraico - che perde quel suo potere di imporsi, non è più il titolare esclusivo del sentimento di giustizia divina;
se leggi il tutto sul piano logico, Scritture alla mano, è evidente che tutto è impregnato di predestinazione, disegni divini, necessità che certe cose accadano, e che queste accadono nel tempo e nell'immanenza del mondo;
chiaramente, il tutto genera problemi a molti interessati, problemi spesso imprevedibili; quel potere sottratto al clero ebraico, per lo stesso principio, sarà sottratto anche a quello cristiano, molti secoli dopo, e sulla base dello stesso principio; ma Agostino lo aveva capito subito;
i predicatori strillano come aquile quando tocchi loro il libero arbitrio, perché viene meno il loro potere di dirti come devi agire, visto che si trovano di fronte non al capriccio o la licenza di crep, ma al senso di giustizia che Dio stesso ti ha impresso nella coscienza;
ma strillano come aquile pure tanti credenti, abituati a pensarsi meritevoli perché resistono al desiderio di peccare, che questo costa loro sacrificio, come si legge qui, e ascrivono questo a loro merito e vanto, ponendosi in posizione superiore ai miscredenti; se desideri ancora peccare, vuol dire che la tua fede in quella giustizia divina non è gran cosa, e forse non sei tanto una brava persona, di cui fidarsi;
per questo non sopportano Paolo, quando dice loro: non c'è merito nell'aver fede, questa è una Grazia che dipende solo e unilateralmente da Dio; se effettivamente siete brave persone, dovete ringraziare Dio e continuare a comportarvi da brave persone, perché questa comunione con la giustizia è divina è già il vostro premio, la vostra salvezza e lieta coscienza;
ma se avvertite un sacrificio nel partecipare a questa giustizia, vuol dire che questa comunione non vi appaga davvero, non vi basta, e volete altro; tu questa cosa la intendi perfettamente, quando scrivi: non ho bisogno del comandamento, semplicemente perché non ho il desiderio di rubare, sono così e basta; non vivi questo come un sacrificio, ma come una condizione felice, immagino;
mentre chi esibisce la sua obbedienza, in realtà ti sta confessando che vorrebbe peccare, ma non lo fa per timore, e al tempo stesso ti fa pesare quel sacrificio, e non può tollerare l'idea di non essere lui ad aver determinato questa cosa, ma Dio stesso, senza proprio merito da esibire.