ma sono esempi del tutto astratti;
infatti, tu stesso, che pure aderisci a quell'idea esposta da Cono, quando devi raccontare la tua realtà:
perché la realtà delle persone non è ordinariamente il menefreghismo, ma la scelta tra sofferenze diverse e sotto pressioni diverse, più spesso legittime o comprensibili, di fronte alla quali, qualunque scelta ti può far sentire in difetto;Io stesso posso dire di aver subito le sofferenze, più che accettarle. Ho preso atto delle situazioni createsi. Dovendo scegliere tra fare cose sbagliate e cose giuste, subendone conseguenze negative, ho scelto spesso di fare le cose giuste.
Su molti guai subiti, comunque, non avevo potere di far nulla. Non avevo scelte a disposizione. Se abbiamo un figlio disabile o un genitore con l'Alzheimer, possiamo scegliere se accudirlo noi o metterlo in qualche istituto, ma se subiamo un licenziamento ingiusto o ci capitano amori non corrisposti, non possiamo fare scelte. Allo stesso modo se ci capita qualche grave malattia.
un partigiano viene fucilato alla cattura; un altro, dopo 10 giorni di torture, non ce la fa più e parla; il primo sarà ricordato come un eroe; il secondo più come un traditore, o comunque uno che ha ceduto;
magari il tuo comportamento, visto dall'esterno, può sembrare menefreghista o superficiale e tu finisci con l'incarnare quella maschera caricaturale di peccatore agli occhi di chi ti giudica e si sente migliore; ma solo tu - e Dio, per chi crede - conosci la verità;
alla fine, e ripeto quello che ho risposto a dietrologo, a me importa poco delle parole alate e delle teologie, a meno che non si voglia discutere quelle nello specifico;
se arriva uno e parla della sua fede, io gli chiedo: che mi dici di bello e morale, in concreto ? perché dovrei comportarmi come dici tu ? sei felice o, almeno, più sereno di me, per qualche ragionevole ed evidente motivo ?
ora, a prescindere da ciò che uno enuncia, quello che leggo io, nelle righe e tra le righe, è il suo sentimento e umore di fondo: per restare nella metafora che ho usato con dietrologo, se al ristorante vedo uno che guarda e giudica i piatti ordinati dagli altri, devo per forza immaginare che quello che ha ordinato lui non deve essere tanto buono e quello poco convinto della sua scelta;
quante volte il bambino non esplora il mondo per paura, ma si racconta quell'inibizione come obbedienza ai genitori e la vitalità dei coetanei come disobbedienza, che prima o poi verrà punita ? hai visto ? quel bambino è annegato ! ma altri 100mila hanno imparato a nuotare, superando la paura di mettere la testa sott'acqua e il fastidio del sale negli occhi...
puoi anche raccontarti quell'obbedienza come una croce, che hai portato virtuosamente; ma magari hai solo assecondato una paura; niente di colpevole;
però quando punti il dito sui compagni che hanno superato la paura e felici di esplorare i fondali, qualche riflessione la faccio sul senso della tua "croce".