La civetta
Appollaiata all’angolo del fienile eletto a punto di osservazione, la civetta scruta attenta la campagna circostante.
La notte non è ancora finita e il giorno arriverà a momenti.
È l’ora in cui i topini di campagna e lo scoiattolo abbandonano ogni prudenza e si avventurano sull’aia alla ricerca di un chicco di grano perso dal contadino, un torsolo di mela lasciato da un bambino, la buccia delle patate abbandonate dalla massaia.
È l’ora in cui le lumache escono ad abbeverarsi sugli steli d’erba ricchi di rugiada e qualche biacco striscia alla ricerca di un anfibio incauto, le uova dell’allodola, una vipera novella.
Un movimento leggero nella quiete dell’aurora è sufficiente.
Con un colpo d’ali rapido e silenzioso, la civetta arriva improvvisa e invisibile sulla preda senza lasciare possibili vie d’uscita.
Pochi secondi e il dramma è compiuto. Per qualche motivo oscuro, la superstizione e l’ignoranza interpretano il suo sommesso canto di ringraziamento come un segnale di morte e i bambini accanitamente le danno la caccia, sui solai, i campanili, le vecchie torri di guardia.
È una delle peggiori caratteristiche degli essere umani, quella di dare significati e spiegazioni ad ogni cosa senza sapere nulla.
Nell’anfratto ricavato fra i mattoni delle vecchie mura, la civetta si è già rintanata furba e sazia, al riparo dal mondo servo del frastuono e dell’effimero.
Se la vedano gli altri con la folla e la rabbia, con il giorno è arrivata l’ora dei sogni.

“Morire, dormire.
Dormire, forse sognare.”

K.K.