Risultati da 1 a 15 di 32

Discussione: Locus amoenus e hortus conclusus

Visualizzazione Elencata

Messaggio precedente Messaggio precedente   Nuovo messaggio Nuovo messaggio
  1. #12
    Opinionista
    Data Registrazione
    30/04/19
    Messaggi
    1,547
    L’ars interrogandi forse è più importante dell’ars rispondendi.

    Alla tua interrogazione caro amico Cono rispondo offrendoti ciò che non ti ho dato nel precedente post.

    Dici che ti ho fatto fare un "triplo salto mortale" con "Alfio l'usuraio" di Orazio. La prossima volta sarò più "guardingo". Lo so, ti ho causato le solite “vertigini”, tu dici suscitate dalle narrazioni, io invece presumo che dipenda dalla cervicale che ti affligge

    Hai provato a rivolgerti a San Donnino ? E’ l’intercessore contro il mal di testa. Visse nel III secolo. Fu vescovo di Parigi. E’ anche patrono di Francia.

    Offro alla tua lettura la decima ecloga virgiliana: ci sono i monti dell’Arcadia, le pecore, i pastori, le divinità impietosite per il grande dolore di Cornelio Gallo, amico di Virgilio e amante infelice, perché non corrisposto dalla bella Licoride.

    Il dio Apollo, “vecchio uomo di mondo”, consiglia Gallo di smetterla di lamentarsi. Licoride è fuggita con un altro e non torna indietro.

    Ma l’innamorato non corrisposto è testardo, continua ad incidere sui tronchi degli alberi le sue sofferenze amorose (versi 31 – 54). Tenta di dimenticarla dedicandosi alla caccia, ma inutilmente.

    Cono, “una domanda mi sorge spontanea”: il tuo altruismo cristiano ti ha costretto almeno una volta nella tua vita a sopportare con rassegnazione un tuo amico amante non corrisposto ? E’ dura, lo so.

    Va beh, leggiti la decima ecloga, che inizia con Virgilio rivolto alla bella Aretusa, pure lei fuggente dalle “grinfie” del dio Alfeo. Questo s’innamorò di lei spiandola mentre faceva il bagno nuda. La ragazza, però, fuggì dalle sue attenzioni e si rifugiò sull'isola di Ortigia, a Siracusa. Chiese l’aiuto della dea Artemide, che la tramutò in una fonte.

    Zeus da bravo maschilista, commosso dal dolore di Alfeo, lo mutò in fiume per dagli la possibilità di mescolarsi con l’acqua del Mar Ionio e raggiungere l’isola di Ortigia per unirsi all'amata fonte Aretusa.


    La fonte Aretusa e le piante di papiro


    ECLOGA X

    Quest'ultima fatica, o Aretusa, concedimi: pochi versi
    per il mio Gallo occorre dire, ma che li legga
    la stessa Licori; chi negherebbe versi a Gallo?
    Così quando scorrerai sotto i flutti sicani,
    possa l'amara Doti non mescolare le tue acque alle sue.

    Comincia: canteremo i solleciti amori di Gallo
    mentre le camuse caprette brucano i teneri virgulti.

    Non cantiamo per sordi: le selve riecheggiano tutto.

    Quali boschi o balze vi trattenevano, o fanciulle Naiadi,
    mentre Gallo moriva per un indegno d'amore?

    Infatti non vi fecero indugio i gioghi del Parnaso
    né quelli del Pindo, né l'aonia Aganippe.

    Anche gli allori lo piansero, anche le tamerici,
    lo piansero il pinifero Mènalo e le rupi del gelido
    Liceo, mentre giaceva sotto una roccia solitaria.

    Gli erano intorno le pecore (esse non sdegnano noi,
    e tu non sdegnare il gregge, o divino poeta:
    anche il bell'Adone pasce le pecore al fiume);

    e venne il pecoraio, vennero i lenti porcai
    venne Menalca bagnato dal cogliere ghiande invernali;

    e tutti: "Di dove questo amore ti venne? " chiedono.

    E venne Apollo: "O Gallo, perché ti stravolgi? Licòri, il tuo amore,
    ha seguito un altro fra le nevi e gli orridi accampamenti".

    E venne (il dio) Silvano con il capo ornato di fiori campestri,
    scuotendo le fiorenti ferule e i grandi gigli.
    Venne Pan, dio dell'Arcadia, che vedemmo
    rosseggiante di sanguigne bacche di sambuco e di minio.

    "Quale sarà la misura?" disse "Amore non si cura
    di simili cose. Amore crudele non si sazia di lagrime,
    né le erbe dei rivi, né le api del citiso, né le caprette di fronde".

    Ma egli triste diceva: "Almeno voi, o Arcadi,
    canterete questo dolore ai vostri monti, voi soli
    esperti nel canto. Come più dolcemente mi riposerebbero le ossa
    se le vostre siringhe un giorno canteranno i miei amori.

    Oh fossi stato uno di voi, un custode
    del vostro gregge, un vendemmiatore d'uva matura!

    Certo se avessi una passione per Filli o per Aminta,
    o per chiunque altro (che importanza ha se Aminta è fosco?
    anche le viole e i giacinti sono scuri),
    giacerebbero con me tra i salici sotto una vite flessuosa:
    Filli coglierebbe serti per me, Aminta canterebbe.

    Qui gelide fonti e molli prati, o Licori,
    e il bosco; qui mi consumerei con te nel tempo.

    Ora un amore insano ti trattiene fra le armi
    del duro Marte, fra i dardi, di fronte al nemico:
    tu lontana dalla patria (ah se potessi non crederlo!),
    sola, senza di me, vedi le nevi alpine
    e i ghiacci del Reno. Ah che il gelo non ti nuoccia,
    e tagliente non ferisca le tue tenere piante!

    Andrò, e quei canti, che ho composto in verso calcidico,
    li modulerò sul flauto del siculo pastore.

    E' certo: meglio patire nelle selve, fra le spelonche delle fiere,
    e incidere i miei amori sui teneri alberi.
    Questi cresceranno, e anche voi crescerete, amori.

    Frattanto misto alle Ninfe errerò per il Mènalo,
    e caccerò i feroci cinghiali; i freddi non mi impediranno
    di circondare con i cani le balze partenie.

    Già mi sembra di andare fra le rupi e i boschi sonanti,
    e mi piace scagliare frecce cidonie con l'arco parto.

    Come se questo fosse medicina per la nostra follia,
    o quel Dio lasciasse mitigare sventure degli uomini!

    Già non mi piacciono più le Amadriadi, e neanche le stesse
    canzoni; poi allontanatevi anche voi, o boschi.

    I nostri affanni non possono mutare il Dio,
    neanche se nel colmo del freddo bevessi le acque dell'Ebro
    o affrontassi le nevi e l'acqua dell'inverno sitonio,
    o quando morendo inaridisce la corteccia sull'alto olmo
    pascolassi le pecore degli Etiopi sotto la costellazione del Cancro.

    Tutto vince l'Amore, e noi cediamo all'Amore ".

    O dèe Pieridi vi basti che il vostro poeta
    mentre siede e intreccia un piccolo cesto col gracile ibisco
    abbia cantato questo, che voi renderete bello
    per Gallo, l'amore del quale tanto mi cresce col passare del tempo,
    quanto all'inizio della primavera s'innalza il verde ontano.

    Alziamoci. L'ombra di solito nuoce a quelli che cantano,
    nociva è l'ombra del ginepro. L'ombra nuoce alle messi.

    Andate sazie a casa, viene Espero, andate caprette.
    Ultima modifica di doxa; 22-06-2023 alle 20:11

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
  • Il codice BBAttivato
  • Le faccine sono Attivato
  • Il codice [IMG]Attivato
  • Il codice [VIDEO]Attivato
  • Il codice HTML � Disattivato