“Il male non esiste” (2023) di Ryusuke Hamaguchi
In una località di montagna non lontana da Tokyo una società ha acquistato un terreno per costruirci un campeggio che possa attrarre un tipo di turismo altolocato. La popolazione locale lamenta che la struttura andrebbe a rompere l’equilibrio con natura e animali, soprattutto gli scarichi fognari potrebbero inquinare la falda acquifera dalla quale l’intero ambiente trova sostentamento. L’argomento non è dissimile da quello trattato dall’ultimo film di Scorsese, dove l’opera di convincimento nei confronti dei locali può essere attuata attraverso vantaggi economici, presunti o meno, creati da un’attività profittevole. Il film ha vinto il Gran premio della giuria a Venezia, mentre due anni fa Hamaguchi vinse l’Oscar per il miglior film internazionale con “Drive my car”. Il suo cinema non ti colpisce per una qualità tecnica particolare della direzione ma con l’equilibrio e la delicatezza dei temi trattati che nel caso in questione viene espressa al massimo della sua potenza nella bellissima sequenza finale dove accanto a una situazione drammatica non viene persa la forma poetica della narrazione.
Il male non esiste ****