Originariamente Scritto da
doxa
Fratel Cono ha scritto
Caro Cono, lo sappiamo che sei laico e impenitente. Ma il tuo “fanatismo religioso” è tale da meritare “honoris causa” la nomina di “chierico in sacris”. Non importa sapere di quale Ordine o congregazione. A giorni alterni ti immaginiamo “prete” con la talare, “frate” con il saio, “monaco” con la tonaca e la cappa. Perché non vuoi concederci questa illusione ? E' suscitata dall’ostinato coraggio di Vega che cerca di redimerti, di farti riflettere, ma inutilmente.
Inutili sono anche le contestazioni da parte di altri. Sei irremovibile nelle tue convinzioni ultramondane. E fai bene ! Perché capisco la tua esigenza di credere nelle favole, nei miti. Senza di loro ti sentiresti smarrito. Perciò io evito di argomentare con te di religione. Sarebbe inutile !
Però possiamo parlare di tante altre cose e andare al bar insieme per berci un caffè.
La tua frequentazione allo stadio mi preoccupa, perché so che in te “alberga” la doppia personalità: quella del santo e quella dell’omicida, sei un emulo del dottor Jekyll e del signor Hyde.
T'immagino sugli spalti mentre gridi parolacce all’arbitro "cornuto", specie quando l’Empoli gioca con la Fiorentina. Ti trasformi, diventi un violento, ti metti a petto nudo nella curva dello stadio riservata agli ultras, inciti alla rivolta quando la tua squadra del “cuore” perde. Dicci la verità in questi ultimi anni quante volte hai ricevuto il “daspo” dalla polizia ?
Ora è giunto il momento di riavvicinarmi al tema del thread, perciò prima di accomiatarmi dal “palcoscenico” offro alla tua riflessione alcune strofe del leopardiano “Canto notturno di un pastore errante in Asia”.
[…]
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,
La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
Il tuo corso immortale?
[...]
Nasce l’uomo a fatica,
Ed è rischio di morte il nascimento.
Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar dell’esser nato.
Poi che crescendo viene,
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core,
E consolarlo dell’umano stato:
Altro ufficio più grato
Non si fa da parenti alla lor prole.
Ma perché dare al sole,
Perché reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
Se la vita è sventura,
Perché da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
E forse del mio dir poco ti cale.
Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;
Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir dalla terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
[…]