In occasione dell’omicidio efferato di Satnam Singh ha avuto luogo, come ormai radicata consuetudine in eventi del genere, il Festival dell’Ipocrisia. Questa manifestazione si svolge in più sedi, in tv e nei social, ma quasi mai in pubblico, davanti a persone vere, un po’ perché i partecipanti non se li fila più nessuno, ma soprattutto perché sarebbe troppo alto il rischio dei vaffanculo.
Durante le molteplici esibizioni che hanno dato vita a questa kermesse mediatica è stato promesso il massimo impegno affinché certa barbarie venga abbattuta, sono state annunciate nuove regole e pene durissime per chi non le rispetterà, c’è stata la promessa dell’impegno da parte di tutti per debellare questa nuova schiavitù acciocché la giustizia trionfi, il sole risplenda sui nostri volti silvani e le aringhe tornino finalmente a cinguettare sugli alberi.
A sentenziare certe litanie si sono alternati i più noti habituée di questa specialità, l’ipocrisia appunto, i campioni indiscussi. Dai politici ai sindacalisti e poi il Bravo Giornalista, la pattuglia acrobatica di fedelissimi al Pensiero Unico, e giù la solita processione di tuttologi, opinionisti, nani, ballerine e cantanti. Tutto il meglio, settore per settore, di Lorsignori e Lordame in grande spolvero, e tutti perfettamente contriti come la circostanza richiedeva.
Il Festival dura in genere due o tre giorni, per fortuna meno di quello di Sanremo, ma le minchiate che si ascoltano sono piuttosto simili, con la differenza che le canzoni di Sanremo fanno pochi danni, mentre le prese per i fondelli dei nostri illuminati rappresentanti ne fanno parecchi.
La realtà è che nessuno ha mai fatto davvero qualcosa per risolvere certi problemi. Non ha fatto niente la destra perché di certe categorie di persone se ne sbatte, non ha fatto niente quella che ci ostiniamo a chiamare sinistra tranne dare la colpa alla destra perché è troppo compromessa col sistema, e non hanno fatto niente i governi tecnici del pluripremiato duo monti-fornero e dell’apostolo fiammeggiante chiamato a miracol mostrare.
In quei campi di merda si continua a sfruttare le persone per pochi euro l’ora e senza nessuna tutela fino a che non muoiano di morte vera, oltre che di quella della propria dignità di persone. Condizioni così disumane che quando le vediamo in qualche film del menga sicuramente ci fanno tirare fuori il fazzoletto, a noi personcine così umane e tanto sensibili, ma quando poi si tratta di persone vere e ci accadono davanti all’uscio di casa, ce ne sbattiamo allegramente i coglioni.
Da sempre. Tutti sappiamo quello che ci succede intorno, fino a dove arriva lo sfruttamento delle persone, e non solo nell’agricoltura, ma anche nell’edilizia, nelle fabbriche, sulle strade per la consegna delle pizze, e nel resto di un lunghissimo elenco che vi risparmio, ma ogni volta, per non sentirci coinvolti, fingiamo di cadere dal pero. E sanno tutto anche quelli che avrebbero il potere reale di cambiare le cose: i politici, i sindacati, le forze dell’ordine, gli ispettorati del lavoro, la chiesa, la guardia svizzera e pure il gatto mammone. Conoscono i se, i perché, i ma, i quando, i come e i dove. Eppure calma piatta, non succede mai niente, non cambia niente se non in peggio, salvo rimettere in piedi questo osceno teatrino di Festival quando qualcuno sul lavoro ci muore o ci viene ammazzato.
Mi rendo conto di quanto i fenomeni dello sfruttamento, del nero, del lavoro irregolare, del caporalato siano radicati, soprattutto in certe regioni, ma ho anche la certezza che non ci sia un briciolo di volontà né umana né politica di affrontare questa situazione.
Forse qualcuno è preoccupato di pagare troppo i pomodori o i cocomeri, come se il minor costo di produzione andasse a suo vantaggio e non invece a ingrassare chi vive di questo sistema, dai produttori schiavisti agli omertosi che permettono tutto questo, o ai loro complici che li proteggono. E potete scommetterci che chi sfrutta, o tace, o regge il sacco senza denunciare sono gli stessi che poi gli immigrati li affogherebbero tutti in mare.
Io vorrei che tutte le buone intenzioni recitate al Festival si traducessero per una volta in qualcosa di concreto. Di reale. Anche una piccola cosa, semplice, che perfino un governo di incapaci come questo potrebbe fare. L’ineffabile Meloni dedichi un’ora alla settimana del suo pregiatissimo tempo, occupato di norma a proteggere il culo dei suoi ministri, esibirsi in ridicole pantomime da pagliaccio e smembrare il paese con provvedimenti che lei stessa ha sempre dichiarato di aborrire, per dirci cosa si è fatto, a che punto siamo nel concretizzare tutte le chiacchiere fatte al Festival. Ci informi, per esempio, su quali aziende si sono rivelate irregolari, quanti lavoratori sono stati finalmente messi in regola e tutelati come si deve in un paese che si fa seghine organizzando G7 ma poi lascia che la sua gente muoia per strada come un cane rabbioso, quante retribuzioni sono state portate a livelli almeno umani. Ci dica insomma quante e quali delle promesse che hanno ammorbato l’aria di retorica e ipocrisia hanno preso corpo, cosa si è fatto e cosa si ha intenzione di fare. In fondo, tra le cose che dice di essere, “donna, madre, italiana”, ci sarebbe anche quel “cristiana” che un senso dovrebbe averlo.
Certo però che c’è sempre quello “stronza” che si è dato da sola a complicare un po’ le cose.
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