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Discussione: Trieste, Museo Lets

  1. #1
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    Trieste, Museo Lets

    Nel forum “Cucina” c’è il topic titolato “El panetun de Natal a Milan”. Nel post n. 5 Lady Folle ha scritto

    Anch’io adoro i caffè eleganti: in città ne abbiamo parecchi, ma scelgo solo gli storici Caffè degli Specchi, il Tommaseo ed il Sacher di recente apertura. Notissimo pure il Caffè S. Marco in un’altra zona della città, con una ricca storia e come ritrovo degli intellettuali.
    Gentile lady Folle sull’inserto “Domenica” del quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 29 settembre scorso, c’è un interessante articolo di Cristina Battocletti, titolato: “Apri il cassetto esce lo scrittore”. E’ dedicato al nuovo Museo Lets nella città dove abiti. L’autrice cita anche alcuni dei caffè storici di Trieste, da te indicati.

    Il nuovo museo Lets racconta i grandi autori (nati, vissuti nella città portuale) con oggetti, filmati, voci e anche il lettino dello psicanalista. Da Svevo a Joyce, Saba, Bazlen, Pahor e Magris



    Ecco l'articolo.

    Lets Letteratura Trieste. Il nuovo museo sul profluvio letterario fiorito nella città stretta tra il Carso e l’Adriatico ha nel suo logo una freccetta che sembra un apostrofo, come se fosse l’esortativo anglofono “andiamo”. Ed è così, finalmente “si va” a Ts, come la chiamano i ‘muli’, o Trst, come la vogliono i cittadini sloveni, così spesso divisa da antichissimi rancori ed estremismi politici, ormai troppo lontani per giustificare tanta acredine, anche se la Storia qui non è stata generosa. Prima gli Asburgo, nel mezzo Napoleone, la Prima e la Seconda guerra Mondiale, la persecuzione contro sloveni ed ebrei, la Risiera, le foibe, l’amministrazione degli Alleati, infine il ritorno all’Italia nel 1954: di questo il museo racconta nella sezione “Edicola”. E invece, ci saranno anche voluti dieci anni, ma Lets ha messo d’accordo tutti. Anzitutto due musei preesistenti che si sono fusi: quello dedicato a Svevo per volontà della figlia Letizia Svevo Fonda Savio, che ha donato libri, documenti e alcuni arredi e oggetti, sopravvissuti al bombardamento del 1945 di Villa Veneziani. E quello su James Joyce, nato su iniziativa del nostro storico collaboratore Renzo Crivelli, già inventore dei due festival, Bloomsday e Buon compleanno Svevo.

    A questi si aggiunge una sezione dedicata a Umberto Saba, prestiti e doni di Archivi, Biblioteche, Fondazioni, Centri studi, Musei, come il Revoltella, lasciti privati che hanno riempito i sei ambienti «costruiti secondo il concetto di metafora», come spiega Riccardo Cepach, già direttore del museo sveviano e curatore di Lets, assieme a Cristina Fenu e Laura Pelaschiar. Cepach con il witz, l’ironia triestina, sempre in canna, assieme a un’aneddotica miracolosa, racconta «la storia straordinaria di una città di medie dimensioni in cui nacquero, abitarono, si ispirarono giganti della letteratura letti, tradotti, studiati, che scrivevano in quattro lingue». E infatti Lets è bilingue, italiano e inglese, e, sul sito, quadrilingue, anche in sloveno e in tedesco, per dare un’idea di quel crogiolo di genti («mai fuse!», come disse Bobi Bazlen) che seppe richiamare dall’Ottocento serbi, croati, cechi, slovacchi, ungheresi, armeni, greci, turchi e inglesi, oggi sostituiti dai viaggiatori fantasmatici delle rotte balcaniche.

    In assioma con questa fiammata di popoli, la sala di accoglienza è di colore rosso acceso con una pletora di ripiani, cassetti e bacheche, edicole rotanti, panchine sonore e oggetti, che psicoanaliticamente connotano le personalità. D’altronde Trieste è il primo porto in cui approdò la psicoanalisi grazie a Edoardo Weiss, allievo di Freud, su cui si fiondarono a riversare il proprio malessere gli amici dei Caffè storici – Specchi, San Marco, Tommaseo, Stella polare (cui è dedicata una sezione), da Saba a Svevo, da Giorgio Voghera (autore di un indimenticabile Gli anni della psicoanalisi) a Bazlen. Nella bacheca dedicata al fondatore, assieme a Luciano Foà, dell’Adelphi, c’è il suo corredo da nomade: un libretto con l’orario dei treni, un pacchetto di sigarette, una sveglia portatile di pelle blu, biglietti da visita di trattorie e un’agenda in pelle dove annotava gli appuntamenti. Fu ciò che l’amico Foà trovò con il cuore spezzato nella camera d’albergo di Milano in cui Bazlen morì il 27 luglio del 1965 , vicino alla casa editrice in cui avevano portato gli incubi della Mitteleuropa, l’Oriente e l’opera completa di Nietzsche. Ma ci sono anche i disegni della sua terapia psicoanalitica, alcuni dei quali radunati in una mostra che gira l’Italia. Vicino, i disegni finissimi in bianco e nero a matita del poeta Virgilio Giotti assieme ai suoi strumenti di lavoro, compassi, squadre e ceselli, che gli servivano per il suo mestiere di “grafico” per la libreria Saba. Ci sono anche i suoi libri di versi in dialetto, cui a volte attingeva l’amico Umberto, che spostandone i vocaboli, ripulendone la struttura, creava una poesia a tutti gli effetti nuova e migliore. Sul Canzoniere del 1919, uno dei tesori donati dalla Biblioteca Hortis, è imperniato lo spazio dedicato a Saba, tinto d’azzurro come lo sguardo che posava sulla sua città dalla scontrosa grazia. La versione digitale del Canzoniere, sfogliabile e navigabile, racconta le cancellature, i ripensamenti e gli interventi riportati dal poeta, mentre sulla parete campeggia il ritratto che gli fece l’amico Vittorio Bolaffio, l’unico apprezzato dall’autore, che non aveva per nulla amato quello di Carlo Levi, compagno della figlia, di cui era gelosissimo. Sulla falsariga della strofa, anche i versi somigliano alle bolle di sapone/ una sale e un’altra no è pensato uno schermo luminoso in cui si levano, in forma di bolla, tutte le versioni buone e calano quelle cestinate.

    Un violino suonante segna il “trapasso” nella stanza di Svevo in cui è appesa l’elegia per un dente che aveva mangiato non so quanti bovi, un tornito telegramma alla moglie Livia senza nessuna informazione, solo per contrastare la proverbiale parsimonia della suocera Olga. Qui l’ambiente è color tabacco, in omaggio all’Ultima Sigaretta di Zeno Cosini, protagonista de La coscienza di Zeno, che con Una vita e Senilità, compì la rivoluzione della letteratura moderna, disarticolandone il linguaggio e la sintassi, per dirla con Claudio Magris. Anche all’autore di Danubio e Microcosmi è dedicata una teca con foto e oggetti, come il salgariano Misteri della giungla nera, la sua prima lettura, accompagnato da una nota: «Mi spiace cedere questa copia fatale». Fu Magris, assieme a Elvio Guagnini, a introdurre la cultura slovena tra i triestini, anche grazie a un importante saggio, scritto con Angelo Ara Trieste. Un’identità di frontiera.

    “Superato” Svevo, si entra in uno stanzino con una carta da parati tappezzata di giuramenti di Ultime Sigarette cosiniane: è lo studiolo del Dottor S., il Sigmund Freud, studente di biologia a Trieste a fine 800 per analizzare il sesso delle anguille. Stendendosi sulla chaise longue, una voce snocciola gli appunti del quaderno del paziente Cosini e delle lettere da Trieste di Freud. Si passa poi allo spazio verde irlanda dedicato a Joyce, in cui l’autore è raccontato attraverso un flusso di coscienza trasposto sulle pareti con lettere verde brillante. Ci si può sedere sulla riproduzione della panchina della stazione di Trieste, dove Nora Barnacle aspettò James lungamente il 20 ottobre 1904, giorno in cui arrivarono in città e in cui si fermarono fino al 1920. Di Boris Pahor c’è la macchina da scrivere portatile, quella su cui battè Necropoli, uno dei capolavori sull’esperienza concentrazionaria. Assieme a lui sono ricordati il poeta Srečko Kosovel «della Trieste con il cuore malato», Rebula e Bartol. Un pannello girevole ricorda anche i primi grandi traduttori come Alberto Spaini e i triestini d’adozione, come il gradese Biagio Marin. Poi, sotto teca, fanno capolino il console Richard Francis Burton, l’austriaco Däubler, il Kafka impiegato alle Generali e Jan Morris, autrice di Trieste o di nessun luogo.

    Lo spazio sta finendo e mancano troppi autori amatissimi: da Scipio Slataper, con il manoscritto originale de Il mio Carso, a Fulvio Tomizza, da Pier Antonio Quarantotti Gambini a Giorgio Pressburger, Juan Octavio Prenz, Paolo Rumiz, Pino Roveredo, Mauro Covacich, Rainer Maria Rilke, Stelio Mattioni. E anche le babe (un po’ trascurate): Susanna Tamaro, con le sue 32 traduzioni di Va dove ti porta il cuore, Anita Pittoni con la casa editrice lo Zibaldone, Lina Galli, Pia Rimini, Marina Mander, Federica Manzon, fresca vincitrice del Campiello, Mary Barbara Tolusso. Riparate voi a questa carrellata troppo frettolosa e andate a visitare Lets, che è anche gratuito, in centro e con un divertente cinemino sui generis.

    Museo LETS
    Trieste, Palazzo Biserini

  2. #2
    Opinionista L'avatar di follemente
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    Un articolo meraviglioso, che racchiude luoghi ed autori che amo: è come tornare a casa , in un mondo a me caro, anche sul forum. Ho apprezzato molto che vengano nominati anche scrittori e poeti sloveni.
    Grazie, Doxa, questo è un vero regalo per me.
    Tu pensa, non sono ancora stata in questo museo recente, ma ora che l’hai presentato così bene vi andrò di sicuro.

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