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Interessante intervista pubblicata ieri su LaRepubblica.
Aresu: “Senza nuove regole la pressione di Big tech cambierà la democrazia”
di Annalisa Cuzzocrea
Alessandro Aresu
Alessandro Aresu
Per l’esperto di IA Musk è ben visto a Pechino e avrà un’influenza enorme. Ma se controllasse TikTok e X sorgerebbe un problema di antitrust
15 Gennaio 2025 alle 01:00
3 minuti di lettura
Elon Musk e la Cina sono più vicini di quanto si pensi, è quindi probabile che la notizia di una possibile vendita di TikTok al padrone di Tesla sia stata fatta filtrare da fonti di Pechino. Per tentare di difendersi da un bando che negli Stati Uniti potrebbe arrivare già domenica. Alessandro Aresu ha scritto Geopolitica dell’intelligenza artificiale, uscito a ottobre per Feltrinelli. Ha lavorato a vario titolo per i governi italiani dal 2013 al 2024, è stato consigliere dell’esecutivo Draghi, studia da anni l’impatto delle Big Tech e dell’intelligenza artificiale sull’economia e sulla politica mondiali. E pensa che salvo correttivi attualmente non in vista, è difficile che la democrazia così come la conosciamo possa reggere l’urto delle trasformazioni in atto.
Smentite di rito a parte, è possibile che Musk – dopo Twitter – si compri TikTok?
«TikTok è posseduta da una società cinese ed è stata giudicata per questo un pericolo per la sicurezza nazionale. È stata fatta una legge che la metterebbe al bando negli Stati Uniti, dove ha 170 milioni di utenti. Il 19 deve pronunciarsi la Corte suprema, ma Trump non vorrebbe che una decisione così importante venisse presa prima del suo insediamento».
Come entra il padrone di Tesla in questa storia?
«Musk per la Cina è un interlocutore importante. Ha fatto investimenti miliardari, ha un canale diretto col premier cinese con cui ha lavorato per una fabbrica della Tesla a Shanghai, la più importante del mondo. Da tempo a Pechino si discute di come possa essere un canale. Certo si porrebbero questioni di antitrust visto che possiede un’altra piattaforma».
Esiste ancora una qualche forma di regolazione delle big tech, quindi?
«I provvedimenti più duri contro Google sono stati presi nell’era Trump, che può usare questa leva come un potere negoziale: caro Facebook, se sei mio amico ti favorisco, altrimenti posso darti filo da torcere».
Probabilmente non vale solo per Facebook e spiega la genuflessione, per usare l’immagine di Ann Telnaes censurata dal Washington Post, dei tecno-oligarchi alla corte di Trump?
«La questione dell’antitrust esiste e resterà. In più, la legge che vorrebbe la messa al bando di TikTok è stata votata ad ampia maggioranza dal Congresso, democratici e repubblicani, per una questione di sicurezza nazionale».
Reale?
«TikTok è l’unica applicazione a grande diffusione in Occidente di proprietà di una azienda cinese. Ha due prodotti, quello usato sul territorio cinese ha un algoritmo diverso con varie forme di censura. Non si può parlare di Tienanmen o mostrare Winnie the Pooh, perché si ritiene somigli a Xi Jinping. Tutto questo in Occidente non dovrebbe valere, ma è probabile che al Congresso siano stati presentati dall’intelligence argomenti riservati a sostegno di un pericolo reale».
La commistione tra gli interessi di Musk e la prossima presidenza degli Stati Uniti non viola ogni regola?
«Intanto negli Stati Uniti la politica si può comprare. Una sentenza del 2010 della Corte suprema ha stabilito che il denaro è libertà di espressione, quindi finanziare la politica attraverso i SuperPAC è diventata una regola e avviene senza limiti. La differenza è che a farlo prima erano miliardari proprietari di casinò, adesso entrano in gioco i big della tecnologia».
Nel suo libro ne descrive molti, una potente rete di innovatori che non ha eguali in Europa.
«E che ha una capacità di influenza enorme. Ma Musk è diverso dalle altre figure perché è un imprenditore dell’hardware, non del software. Costruisce cose. Ha posto la manifattura avanzata al centro degli Stati Uniti nel momento in cui tutto il mondo la appaltava ai Paesi asiatici».
Lo ha fatto con Tesla e lo ha fatto con SpaceX. Davvero non ha concorrenti?
«Nel mercato dell’auto sì, e sono proprio i cinesi. In quello dello Spazio difficile dire ne abbia».
Possiamo affidare le reti di sicurezza a una società di proprietà di un uomo che tenta a colpi di disinformazione di buttare giù il governo britannico o di favorire i neonazisti in Germania?
«Bisogna distinguere il carattere di Musk dal suo lato imprenditoriale. Già con Biden Space X riforniva l’esercito, i satelliti spia dell’intelligence, aveva un ruolo cruciale che ora aumenterà perché Musk sarà il regolatore di se stesso».
Quindi fidarsi?
«Come si fida il principale alleato dell’Italia, gli Stati Uniti».
Guidati da un presidente che dice di volersi annettere Canada e Groenlandia.
«Nel migliore dei mondi possibili dovremmo avere un nostro ordine che ci rende indipendenti dal punto di vista tecnologico. Ma siamo ben lontani dall’averlo».
La democrazia può reggere a un tale concentrato di potere politico, soldi e tecnologia in mano a pochi, con conseguente possibilità di disinformazione?
«Può se evita i monopoli, se gli attori in campo sono più di uno ed entrano in concorrenza tra loro. E se aumenta la consapevolezza politica e sociale di temi come sicurezza, criptografia, satelliti, intelligenza artificiale. In caso contrario, non avremo più le forme di democrazia che abbiamo conosciuto».
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