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Discussione: Giosué Carducci

  1. #1

    Giosué Carducci

    Un Nobel dimenticato. Le sue opere prendono polvere nella biblioteca familiare ed oggi le ho spolverate.
    Lo si ricorda solo perché é facile usarne i versi, caricaturandoli per fare facile umorismo. Io per primo.
    Come Dante, d'altronde.
    Riporto qui, in suo omaggio, dai "Levia gravia": Inno a Satana

    A te, dell’essere
    principio immenso
    materia e spirito,
    ragione e senso;

    mentre ne calici
    il vin scintilla
    sí come l’anima
    ne la pupilla;

    mentre sorridono
    la terra e il sole
    e si ricambiano
    d’amor parole,

    e corre un fremito
    d’imene arcano
    da’ monti e palpita
    fecondo il piano;

    a te disfrenasi
    il verso ardito,
    te invoco, o Satana,
    re del convito.

    Via l’aspersorio,
    prete, e il tuo metro!
    no, prete, Satana
    non torna in dietro!

    Vedi: la ruggine
    rode a Michele
    il brando mistico;
    ed il fedele!

    spennato arcangelo
    cade nel vano.
    Ghiacciato è il fulmine
    a Geova in mano.

    Meteore pallide,
    pianeti spenti,
    piovono gli angeli
    dai firmamenti.

    Nella materia
    Che mai non dorme,
    re dei fenomeni,
    re delle forme,

    sol vive Satana.
    Ei tien l’impero
    nel lampo tremulo
    d’un occhio nero,

    o ver che languido
    sfugga e resista,
    od acre ed umido
    provochi, insista.

    Brilla de’ grappoli
    nel lieto sangue,
    per cui la rapida
    gioia non langue,

    che la fuggevole
    vita ristora,
    che il dolor proroga,
    che amor ne incuora.

    Tu spiri, o Satana,
    nel verso mio,
    se dal sen rompemi
    sfidando il dio

    de’ rei pontefici,
    de’ re cruenti;
    e come fulmine
    scuoti le menti.

    A te, Agramainio
    Adone, Astarte,
    e marmi vissero
    e tele e carte,

    quando le ioniche
    aure serene
    beò la Venere
    anadiomène.

    A te del Libano
    fremean le piante,
    dell’alma Cipride
    risorto amante:

    a te ferveano
    le danze e i cori;
    a te i virginei
    candidi amori,

    tra le odorifere
    palme d’Idume,
    dove biancheggiano
    le ciprie spume.

    Che val se barbaro
    il nazareno
    furor dell’agapi
    dal rito osceno

    con sacra fiaccola
    i templi l’arse
    e i segni argolici
    a terra sparse?

    Te accolse profugo
    tra gli dei lari
    la plebe memore
    nei casolari.

    Quindi un femineo
    sen palpitante
    empiendo, fervido
    nume ed amante,

    la Strega pallida
    d’eterna cura
    volgi a soccorrere
    l’egra natura.

    Tu all’occhio immobile
    dell’alchimista,
    tu dell’indocile
    mago alla vista,

    schiudi del torpido
    chiostro i cancelli,
    riveli i fulgidi
    cieli novelli.

    Alla Tebaide,
    te nelle cose
    fuggendo, il monaco
    triste s’ascose.

    O dal tuo tramite
    alma divisa,
    benigno è Satana;
    ecco Eloisa.

    In van ti maceri
    nell’aspro sacco:
    il verso ei mormora
    di Maro e Flacco

    tra la davidica
    nenia ed il pianto;
    e, forme delfiche,
    a te da canto,

    rosee nell’orrida
    compagnia nera,
    mena Licoride,
    mena Glicera.

    Ma d’altre imagini
    d’eta più bella
    talor si popola
    l’ insonne cella,

    Ei, dalle pagine
    di Livio, ardenti
    tribuni, consoli,
    turbe frementi

    sveglia; e fantastico
    d’ italo orgoglio
    te spinge, o monaco,
    su il Campidoglio,

    E voi, che il rabido
    rogo non strusse,
    voci fatidiche,
    Wiclef ed Husse,

    all’aura il vigile
    grido mandate:
    s’innova il secolo,
    piena è l’etate,

    E già già tremano
    mitre e corone:
    dal chiostro brontola
    la ribellione,

    e pugna e predica
    sotto la stola
    di fra’ Girolamo
    Savonarola.

    Gittò la tonaca
    Martin Lutero:
    gitta i tuoi vincoli,
    uman pensiero,

    e splendi e folgora
    di fiamme cinto;
    materia, inalzati;
    Satana ha vinto.

    Un bello e orribile
    mostro si sferra,
    corre gli oceani.
    corre la terra:

    corusco e fumido
    come i vulcani,
    i monti supera,
    divora i piani,

    sorvola i baratri;
    poi si nasconde
    per antri incogniti,
    per vie profonde;

    ed esce; e indomito
    di lido in lido
    come di turbine
    manda il suo grido,

    come di turbine
    l’alito spande:
    ei passa, o popoli,
    Satana il grande:

    passa benefico
    di loco in loco
    su l’infrenabile
    carro del foco

  2. #2
    Opinionista
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    Ciao Carlino, domattina torna tra noi fratel Cono, perché gli vuoi far avere un infarto con l’inno a Satana ?

    “Via l’aspersorio,
    prete, e il tuo metro!
    no, prete, Satana
    non torna in dietro!”


    Ultima modifica di doxa; 17-02-2025 alle 15:20

  3. #3
    Chi di Siracide spesso colpisce
    di Carducci Giosué quindi perisce


  4. #4
    Cosmo-Agonica L'avatar di Bauxite
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    È quella che preferisco.

  5. #5
    Opinionista L'avatar di follemente
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    Miramar


    O Miramare, a le tue bianche torri
    attediate per lo ciel piovorno
    fosche con volo di sinistri augelli
    vengon le nubi.

    Miramare, contro i tuoi graniti
    grige dal torvo pelago salendo
    con un rimbrotto d'anime crucciose
    battono l'onde.

    Meste ne l'ombra de le nubi a' golfi
    stanno guardando le città turrite,
    Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo,
    gemme del mare;

    e tutte il mare spinge le mugghianti
    collere a questo bastion di scogli
    onde t'affacci a le due viste d'Adria,
    rocca d'Absburgo;

    e tona il cielo a Nabresina lungo
    la ferrugigna costa, e di baleni
    Trieste in fondo coronata il capo
    leva tra' nembi.

    Deh come tutto sorridea quel dolce
    mattin d'aprile, quando usciva il biondo
    imperatore, con la bella donna,
    a navigare!

    A lui dal volto placida raggiava
    la maschia possa de l'impero: l'occhio
    de la sua donna cerulo e superbo
    iva su 'l mare.

    Addio, castello pe' felici giorni
    nido d'amore costruito in vano!
    Altra su gli ermi oceani rapisce
    aura gli sposi.

    Lascian le sale con accesa speme
    istoriate di trionfi e incise
    di sapienza. Dante e Goethe al sire
    parlano in vano

    da le animose tavole: una sfinge
    l'attrae con vista mobile su l'onde:
    ei cede, e lascia aperto a mezzo il libro
    del romanziero.

    Oh non d'amore e d'avventura il canto
    fia che l'accolga e suono di chitarre
    là ne la Spagna de gli Aztechi! Quale
    lunga su l'aure

    vien da la trista punta di Salvore
    nenia tra 'l roco piangere de' flutti?
    Cantano i morti veneti o le vecchie
    fate istriane?

    — Ahi! mal tu sali sopra il mare nostro
    figlio d'Absburgo, la fatal Novara.

  6. #6
    Opinionista L'avatar di follemente
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    Ditemi se sbaglio: Carducci non è stato definito da un critico letterario italiano "il trombone d'Italia"?


    Attendo conferme.

  7. #7
    Opinionista
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    Si Lady Folle, fu il critico e scrittore siciliano Luigi Russo nel suo libro titolato “Carducci senza retorica” a definire “trombone” l’anticlericale e massone Giosue Carducci, repubblicano e mazziniano, intriso della retorica post risorgimentale.

    Preferisco il Carducci “intimo” come nella poesia “Pianto antico”.

    Ultima modifica di doxa; 17-02-2025 alle 06:47

  8. #8
    Opinionista L'avatar di follemente
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    Grazie, Doxa! Tu fornisci sempre delle informazioni preziose.

    Anche a me l’eccessiva retorica di Carducci non attrae molto e preferisco, come te , le poesie intime, ma Miramar s’ispira al castello di Miramare di Trieste ed alle vicende di Massimiliano e Carlotta e non è così oratoria.
    Oltre a Pianto antico, mi piacciono Traversando la Maremma toscana, Funere mersit acerbo, Davanti San Guido, ma anche certe Odi barbare.
    Ed il sempreverde S. Martino?

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