Così si presentava questo piccola fusione in bronzo – tratta dalla ben nota Estasi di Santa Cecilia, di Raffaello – annerita dalla patina dei secoli: decisamente poco accattivante, ma come è noto, la patina del bronzo non va mai ripulita perché oltre ad attestare l’antichità del manufatto è anche una bella patina, calda e ricca di riflessi metallici.
Ma in questa Santa Cecilia la bronzea patina era veramente insopportabile, spenta, scura e priva del ben che minimo riflesso metallico o bronzeo. Così mi è venuto il dubbio che non fosse bronzo, ma magari – non poniamo limiti ai miracoli della Santa – si trattasse di una fusione addirittura d’argento, che, come è noto, annerisce rapidamente all’ossidazione dell’aria; tanto che le punte di argento venivano usate per il disegno quando ancora la grafite non riempiva le matite.
La stacco dal quadro per vedere il posteriore – con rispetto parlando – della Santa: e già nella mano sento che il peso specifico dell’oggetto non è quello del bronzo, ma decisamente più pesante; e il verso della targhetta, non esposto all’aria perché incollato al velluto dello sfondo, manda bagliori argentei che mi riempiono il cuore di speranza.
Ma la prima “grattatina” sul metallo – che trovo subito troppo malleabile perché si segna con l'unghia – mi fa capire che non si tratta di argento, bensì di vile piombo: cosa confermata anche dalla mancata reazione al rosso della goccia d’acido che si usa per saggiare l’argento.
Ai lati esterni si vedono bene le numerose impronte digitali dell’artista, impresse sulla cera del modello che poi verrà sacrificato in fusione per essere sostituito dal metallo: è più che una firma, se si trovasse un'impronta simile su qualche opera famosa.
La cattiva notizia - che la targhetta non è d’argento - è però compensata da due buone notizie: la prima è che probabilmente la fusione è abbastanza antica (il piombo era usato per queste cose per lo più nel ‘500 e ‘600); l’altra buona notizia è che la patina del piombo, essendo così penalizzante per l'opera, può essere tranquillamente sacrificata per far risplendere di nuova luce l’immagine e riportarla come quando è stata creata.
Quindi mi armo di numerosi straccetti e comincio a lustrare delicatamente la Santa per togliere l’ossido accumulato che toglie dettagli e lucentezza all’opera.
E ci va una montagna di straccetti che sembra la Venere degli Stracci di Pistoletto…
Compaiono così dettagli prima del tutto sepolti nell’ossido: il decoro del vestito della Santa, spunta il becco grifagno dell’aquila di San Paolo.
E alla fine il risultato complessivo è decisamente più piacevole e leggibile di prima:
E per chi ama la Settimana Enigmistica, ecco un classico “Aguzzate la vista” per trovare le differenze fra la dettagliata opera di Raffaello e la targhetta: le sorprese non mancano, e non solo per le assenze sul piombo dovute alla enorme riduzione di formato, dai due metri e mezzo per uno e mezzo del quadro di Raffaello ai 14 x 9 centimetri della targhetta.