Buongiorno Carlino.
Condivido la tua opinione in fatto di religione: “oppio dei popoli” diceva “zio” Marx.

Hai citato i Maya e la mia mente vola al “velo di Maya” e al filosofo Arthur Schopenhauer, il quale dice che esso copre la realtà e suscita illusioni in chi la osserva. In parole “semplici”: la realtà che non conosce e deve scoprire. Lo motiva ad agire per soddisfare i suoi desideri.

Secondo questo filosofo “Maya è il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché somiglia al sonno, al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua”.

Per spiegare la propria teoria, Schopenhauer si basa sul mito di Maya, la divinità creatrice delle illusioni.

La controparte di Maya è Atman: il “soffio vitale” o “anima”. Esso indica sia il “sé”, cioè la singolarità, sia l’anima universale del mondo. Quest’anima è priva di ogni illusione e sovrastruttura: ecco perché è la controparte di Maya, che invece è la divinità delle illusioni.

Maya è anche un concetto fondamentale dell’induismo e della filosofia indiana che fa riferimento a un’illusione, la cosiddetta “illusione cosmica”.

Tale filosofia condizionò quella di Schopenhauer: Maya è come velo impercettibile che avvolge l’Atman, la verità della realtà, e non permette all’individuo di diventare un tutt’uno con gli altri, condannandolo alla solitudine.

Maya è anche il nome della madre di Siddhartha Gautama, cioè di Buddha. Schopenhauer fu notevolmente influenzato anche da quest’antica religione, da cui prese i concetti di “ascesi” e “Nirvana“, fondamentali per portare a compimento il percorso di liberazione dell’individuo.

Il velo di Maya è creato dalla Natura, che fa sprofondare l’uomo in una realtà illusoria che Schopenhauer definisce “simile al sogno”: “La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia, passando attraverso l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia”. Schpenhauer: “Il mondo come volontà e rappresentazione”, del 1819.