Risultati da 1 a 6 di 6

Discussione: Arte sacra tra fede, compenso e ricerca dell’umano

  1. #1

    Arte sacra tra fede, compenso e ricerca dell’umano

    Le mie più profonde scuse a @doxa. Che possa perdonarmi lo sfoggio di ricordi liceali spolverati di castronerie frutto di pretenziosa ignoranza.

    Nel corso della storia dell’arte occidentale, in particolare nei periodi romanico, gotico e rinascimentale , i grandi artisti figurativi e architetti lavoravano mossi da autentica fede o da interessi più materiali, come il prestigio sociale o la ricompensa economica ?.
    Molti artisti del Rinascimento, da Michelangelo a Raffaello, erano di profonda cultura religiosa, ma non necessariamente conformi all’ortodossia. Alcuni, come Leonardo da Vinci, sembrano aver avuto una relazione più intellettuale e simbolica con la religione. Altri, come Caravaggio, vissero vite turbolente, ben poco esemplari. Ed i committenti : vescovi, papi, confraternite, ordini religiosi dettavano temi, formati, perfino i dettagli iconografici. Quindi...vassapé.
    Si puo' concludere che l’artista lavorasse su commissione, ma non scevro da devozione. Andando un po' più a fondo, osservando le opere nei dettagli, per me, 'gnurant doc certificato, emerge una verità più profonda: spesso, sotto il velo della devozione, l’artista cerca l’uomo e piuttosto che mostrare il divino, tende all’umano in tutta la sua complessità. Non "Dio", ma se stesso.
    Nel Medioevo, i cicli pittorici e scultorei sono “Bibbie per analfabeti”; le cattedrali gotiche sono teologie visive. L’arte non è autonoma, ma funzionale: educa, converte, consola. Eppure, già in queste opere, per esempio,i capitelli istoriati di Autun o i volti scolpiti a Chartres, compaiono espressioni, posture, gesti che parlano di debolezza, ironia, stupore, compassione. L’artista, pur all’interno di uno schema imposto, inserisce frammenti di umanità viva, talvolta persino dissonante.
    Le cattedrali gotiche, i cicli pittorici medievali, le pale d’altare rinascimentali: tutte queste opere si presentano come manifestazioni del sacro. Ma non il sacro in quanto tale, ontologico (l'ho detto ! ),ma, piuttosto il "vissuto" dell’uomo davanti al sacro. La svolta si avverte chiaramente nell’iconografia cristiana stessa. Il Cristo pantocratore bizantino, distante e ieratico, lascia progressivamente spazio al Cristo sofferente, umiliato, crocifisso. Giotto lo mostra crollato nel dolore, Masaccio lo inserisce in prospettiva tra uomini reali, Donatello scolpisce una Maddalena scheletrica, devastata dal digiuno e dalla colpa.
    Queste immagini non si limitano a trasmettere dottrina: mettono in scena l’esperienza umana, del corpo sofferente, , della perdita, della misericordia. Quando Caravaggio ritrae San Matteo o San Tommaso, non li idealizza: li sporca, li rende dubitanti, li illumina con la luce della verità umana prima ancora che teologica. Il “Dubbio di Tommaso” non è un’eresia visiva, ma un’esaltazione della condizione umana come luogo in cui Dio potrebbe manifestarsi.
    Il volto di una Madonna non è solo teologico: è materno, triste, fragile. Il corpo di Cristo crocifisso non è soltanto il simbolo di una redenzione: è carne ferita, dolore tangibile, morte reale. Quando Giotto dipinge la Deposizione o Masaccio rappresenta l’Espulsione dal Paradiso Terrestre, ciò che colpisce non è l’astrattezza del dogma, ma la concretezza della disperazione, del pianto, della perdita.
    Anche nelle immagini più solenni, come quelle dei Giudizi Universali o delle Assunzioni, il centro emotivo e visivo resta l’uomo: salvato o dannato, estatico o terrorizzato, nudo, vulnerabile, esposto. Il linguaggio del sacro serve dunque non tanto per affermare Dio, ma per indagare e sottolineare l'umano.
    Poche figure esemplificano questa tesi come Michelangelo . La sua opera è impregnata di riferimenti religiosi, eppure ciò che la rende grande non è la dottrina, ma il conflitto interiore che essa esprime. Il Giudizio Universale nella Cappella Sistina è teologicamente ortodosso, ma visivamente umano, impietoso, inquieto. I corpi non salgono al cielo: combattono, crollano, si aggrappano. con volti attoniti verso il Cristo giudice, apollineo e inquietante, terribile e non consolatore. Non è un Dio misericordioso quello che appare, ma un’entità che giudica senza parole, mentre l’umanità si torce, precipita, si dispera.
    Ancora più toccante è la Pietà Rondanini, in cui l’artista ritrae se stesso come Nicodemo che sorregge Cristo morto. Qui, Dio è assente. Resta l’uomo che regge un altro uomo: il peso della morte, dell’amore, dell’incomprensibile. È il gesto di chi cerca di dare senso al dolore, non attraverso la fede, ma attraverso l’arte. In Michelangelo, l’uomo cerca se stesso attraverso la carne e il tormento, non attraverso una rivelazione mistica.
    Anche Leonardo da Vinci, scettico verso le religioni organizzate, curioso di tutto, pur lavorando su commissioni religiose, trasforma ogni soggetto sacro in una riflessione sull’umano. Nella sua Ultima Cena, gli apostoli reagiscono in modo differente all’annuncio del tradimento: ciascuno esprime un moto psicologico, un’introspezione, un carattere. Non sono figure esemplari di virtù cristiana: sono uomini colti nel mezzo della crisi.
    Nella Gioconda, il mistero non riguarda Dio, ma l’identità e la coscienza: chi è questa donna? Cosa cela il suo sorriso? Qual è il rapporto tra l’anima e il corpo? Leonardo usa la pittura non per glorificare un trascendente, ma per registrare l’enigma dell’immanenza. (frase annotata a suo tempo nel libro di Storia dell'Arte, rispolverato per l'occasione)La sua arte è uno specchio dell’intelligenza umana, della sua complessità, dei suoi chiaroscuri.
    Con Caravaggio, la tesi si fa ancora più netta. La sua pittura è brutale, realistica, drammatica. I suoi santi non hanno aureole evanescenti, ma piedi sporchi, mani tremanti, corpi segnati dalla fatica e dalla colpa. Il Dubbio di San Tommaso non è una rappresentazione della verità divina, ma l’esaltazione del dubbio umano come condizione esistenziale. Tommaso infila il dito nel costato di Cristo non per credere, ma per toccare, per sapere, per comprendere con i propri sensi.
    Anche quando rappresenta la Vergine o i martiri, Caravaggio non idealizza: umilia, abbassa, espone. La luce taglia il buio come la coscienza taglia la tenebra dell’ignoranza. La fede non è il punto di partenza, ma un esito incerto, sofferto, mai garantito. L’arte, qui, è il teatro di una ricerca disperata dell’umano in sé, non del divino fuori di sé.
    Anche l’architettura, nella sua imponenza, racconta la stessa storia. Le cattedrali gotiche – da Chartres, Reims, Notre-Dame – sono costruite per sollevare l’anima, ma non attraverso dogmi: attraverso la luce, la verticalità, il suono. L’esperienza estetica è l’esperienza di un’emozione umana che si apre al mistero, non la contemplazione di un’entità esterna.
    Nel Rinascimento, l’architettura diventa ancora più esplicita: la misura è quella dell’uomo. Il modulo è il corpo umano. La bellezza è armonia, proporzione, equilibrio. Alberti e Brunelleschi progettano chiese non per esprimere Dio, ma per rappresentare un mondo intellegibile, razionale, accessibile alla mente e ai sensi dell’uomo.
    Quindi l’artista, quando sembra cercare "Dio", trova l’uomo. La sua arte non è semplicemente rappresentazione della divinità, ma scavo nella condizione umana davanti al mistero. Le opere religiose più potenti sono quelle in cui "Dio" non è solo gloria, ma assenza, attesa, silenzio.
    Quando Rembrandt dipinge parabole evangeliche, lo fa con i volti dei suoi vicini. Quando El Greco deforma i corpi, lo fa per esprimere uno slancio spirituale che parte dall’interiorità. Quando Giotto abbraccia San Francesco con l’angelo, non ci mostra un miracolo, ma una verità emotiva: la possibilità di contatto tra carne e luce, tra dolore e sentimento.
    Questa tensione non si esaurisce con l’arte sacra. Anche l’arte profana, nelle sue forme più alte, partecipa della stessa dinamica. Quando Rembrandt dipinge i suoi autoritratti, non cerca "Dio": cerca se stesso che invecchia, soffre, spera, si disillude. Quando Goya mostra gli orrori della guerra, non denuncia solo un male storico, ma l’abisso umano.
    L' arte, anche quando non ha oggetto religioso, si rivolge all’interiorità, alla coscienza. È sempre un gesto di interrogazione. Come se l’artista dicesse: “Chi sono? Cosa significa essere? Come si vive, si ama, si muore?”. Il sacro, in questo contesto, può essere un linguaggio, un codice, ma non è la meta: è uno specchio.
    Da tutto questo, si può trarre la certezza, una prova, o almeno un indizio, dell’esistenza di un "Dio"? In senso razionale e logico, no: l’arte sacra non è una dimostrazione metafisica, né un argomento teologico. Ma in un certo senso, come esperienza e vissuto, sì: l’intensità emotiva, il mistero delle forme, la capacità dell’opera d’arte di commuovere, inquietare, elevare, può essere intesa come traccia, di qualcosa che superi l’umano pur parlando attraverso di esso.
    In questa prospettiva, l’arte non prova "Dio", ma lo cerca. O forse meglio: cerca l’uomo nell’atto di cercare "un Dio."E in questo atto lascia trasparire una domanda che può essere letta in chiave religiosa, ma anche umanistica, filosofica, esistenziale.
    In definitiva, le grandi opere d’arte e architettura, sacre o profane che siano, non ci dicono se un "Dio" esista o meno. Ma ci mostrano con chiarezza che l’uomo esiste, e che la sua esistenza è inseparabile dal desiderio di comprendere se stesso. In questo senso, non è "Dio" (quale possa essere il significato dato al termine) il fine dell’arte, ma la profondità della domanda umana che, da sempre, cerca di ascoltare se stessa.
    L’arte non è la voce di Dio, ma l’eco della domanda.

    L’arte non risponde “Dio c'è”, ma chiede: “Chi sono io?
    Ultima modifica di restodelcarlino; 17-05-2025 alle 17:04

  2. #2
    Opinionista
    Data Registrazione
    30/04/19
    Messaggi
    2,025
    Buongiorno Carlino. Scusarti ? Ma devo ringraziarti per la tua lectio magistralis. Bravo !

    Hai scritto

    Quindi l’artista, quando sembra cercare "Dio", trova l’uomo. La sua arte non è semplicemente rappresentazione della divinità, ma scavo nella condizione umana davanti al mistero. Le opere religiose più potenti sono quelle in cui "Dio" non è solo gloria, ma assenza, attesa, silenzio.
    Ed ancora

    L' arte, anche quando non ha oggetto religioso, si rivolge all’interiorità, alla coscienza. È sempre un gesto di interrogazione. Come se l’artista dicesse: “Chi sono? Cosa significa essere? Come si vive, si ama, si muore?”. Il sacro, in questo contesto, può essere un linguaggio, un codice, ma non è la meta: è uno specchio.

    Permettimi di aggiungere che da circa duemila anni la figurativa arte sacra cristiana tende a collegare il visibile all’invisibile, tramite la pittura, la scultura, l’architettura, i simboli. Fonda la sua estetica sul linguaggio simbolico. E’ un’arte didattico-edificante ispirata da personaggi e avvenimenti descritti nell’Antico e Nuovo Testamento.

    Testimonia la teologia della fede, il rapporto tra la vita e la religione, l’adesione al divino. L’immagine non cerca di imitare l’apparenza ma la realtà invisibile tramite il linguaggio simbolico e la fede del credente per la sua formazione cristiana, il suo modo di pensare e di agire, come risultato di un’educazione silenziosa attraverso la visione, la contemplazione e l’interiorizzazione delle immagini. Ne è un esempio il nostro amico Cono.

    Il 7 maggio 1964 nella Cappella Sistina Paolo VI rivolgendosi agli artisti disse: “Il nostro mestiere (di sacerdoti) ha bisogno della vostra collaborazione, perché, come sapete, il nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, la spiritualità, l’invisibile, l’ineffabile, la divinità. Questo passaggio che travasa il mondo invisibile in modalità accessibili, intelligibili, voi siete maestri con le vostre creazioni artistiche. E’ il vostro mestiere, la vostra missione, la vostra arte è proprio quella di carpire dallo spirito i suoi “tesori” e ornarli con le parole, i colori, le forme, l’accessibilità per facilitare la comprensione del mistero, la trascendenza”.

    Papa Montini usò il termine tedesco “einfuhlung” per indicare la sensibilità, la capacità degli artisti di avvertire tramite i sentimenti ciò che il pensiero non riesce ad esprimere.

    Il pontefice continuò il suo discorso dicendo che tanta arte sacra o a soggetto religioso è ridicola o aberrante; prima di dubitare sui contenuti è dubbia se sia arte o no.

    Arte sacra e fede, entrambe inducono verso Dio, all’anelito verso l’Oltre, varcando il velo della superficie per intuire l’epifania del mistero. Esse riescono a suscitare emozioni, pietas, riflessioni nel credente.

    Le opere d’arte per le chiese vengono commissionate per comunicare messaggi religiosi, ma evidenziano anche gli stili dei singoli artisti, a prescindere dalla loro fede o non fede religiosa.

    In passato, ho partecipato come uditore ad alcune lectiones magistrales da parte di un mio magister, il cardinale Gianfranco Ravasi. Egli diceva, cito a memoria (ormai labile), che nelle sue dimensioni simboliche il dipinto che rappresenta il volto di Dio immaginato dall’artista, è uno dei capitoli fondamentali nella storia dell’arte.

    I fedeli cercano il volto di Dio, e l’arte, tramite l’antropomorfismo, gli dà l’immagine, simbolicamente lo rappresenta, Egli acquisisce fisionomia attraverso la parola cosiddetta “sacra”, e l’invisibile diventa icona.

    Nel Salterio progressivamente si delinea la possibilità in chi crede di “vedere il volto di Dio” mentre prega.

    Dal libro dei Numeri (6, 25-26): “Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace”.

    In questo contrappunto tra il mistero del volto divino e la sua rivelazione e contemplazione si ripropone il nesso tra la trascendenza di Dio e la sua immanenza, ossia tra il suo essere differente e superiore alle facoltà umane ma al tempo stesso il suo essere persona che opera, parla, interviene nella storia, manifestandosi come “salvatore”.

    I cicli pittorici nelle chiese, la “Biblia pauperum” (Bibbia dei poveri), diventano la “muta predicatio”, il muto discorso proposto dalle numerose immagini che esprimono gesti, sguardi, volti, paesaggi. La pittura sacra bizantina sostituisce al paesaggio la metafisica dello sfondo in oro.

    Il pittore Paul Klee scrisse: “L’arte non ripete le cose visibili ma rende visibile ciò che spesso non lo è”. Infatti l’arte sacra non imita l’apparenza ma la realtà invisibile tramite il linguaggio simbolico e la fede del credente.

  3. #3
    Opinionista L'avatar di axeUgene
    Data Registrazione
    17/04/10
    Località
    sotto una quercia nana in zona Porta Genova
    Messaggi
    23,184
    in realtà, uno dei due termini è difficile, se non impossibile, da definire, se non in modo autoreferenziale dell'osservatore/i;

    dire cosa sia "arte", come concetto inclusivo ed esclusivo è un bel rompicapo; si possono tentare alcuni percorsi in termini di struttura del linguaggio usato nel "testo", se è possibile ricostruire un'intenzionalità;
    direi difficilissimo connettere in modo biunivoco ed esclusivo il testo e l'oggetto rappresentato, nel senso che "sacro" potrebbe includere qualsiasi oggetto per osservatori diversi;

    la mediazione che serve per spiegare il S. Giorgio e il drago di Paolo Uccello è troppo mediata rispetto a quanto di artisticamente personale e ambiguo si può ragionevolmente avvertire a partire dal solo testo.
    c'� del lardo in Garfagnana

  4. #4
    Opinionista L'avatar di axeUgene
    Data Registrazione
    17/04/10
    Località
    sotto una quercia nana in zona Porta Genova
    Messaggi
    23,184
    in realtà, uno dei due termini è difficile, se non impossibile, da definire, se non in modo autoreferenziale dell'osservatore/i;

    dire cosa sia "arte", come concetto inclusivo ed esclusivo è un bel rompicapo; si possono tentare alcuni percorsi in termini di struttura del linguaggio usato nel "testo", se è possibile ricostruire un'intenzionalità;
    direi difficilissimo connettere in modo biunivoco ed esclusivo il testo e l'oggetto rappresentato, nel senso che "sacro" potrebbe includere qualsiasi oggetto per osservatori diversi;

    la spiegazione che serve per spiegare il S. Giorgio e il drago di Paolo Uccello è troppo mediata rispetto a quanto di artisticamente personale e ambiguo si può ragionevolmente avvertire a partire dal solo testo.
    Ultima modifica di axeUgene; 19-05-2025 alle 08:04
    c'� del lardo in Garfagnana

  5. #5
    Opinionista
    Data Registrazione
    30/04/19
    Messaggi
    2,025
    axeUgene ha scritto

    dire cosa sia "arte", come concetto inclusivo ed esclusivo è un bel rompicapo; si possono tentare alcuni percorsi in termini di struttura del linguaggio usato nel "testo", se è possibile ricostruire un'intenzionalità;
    direi difficilissimo connettere in modo biunivoco ed esclusivo il testo e l'oggetto rappresentato, nel senso che "sacro" potrebbe includere qualsiasi oggetto per osservatori diversi;

    la mediazione che serve per spiegare il S. Giorgio e il drago di Paolo Uccello è troppo mediata rispetto a quanto di artisticamente personale e ambiguo si può ragionevolmente avvertire a partire dal solo testo.
    Buongiorno axe. Hai ragione, è un bel rompicapo definire l’arte.


    Giacomo Grosso, Allegoria delle arti, olio su tela, 1925, collezione privata

    Nell’antica Grecia era sconosciuta la parola “arte”. Nei testi platonici, i concetti che noi includiamo nella parola “arte” venivano espressi con due termini diversi, cui corrispondono realtà diverse: poiesis (= atto creativo) e techne (= tecnica).

    La più vicina al nostro significato di arte era “tékhne”.

    Comunque i due lemmi evocano l’abilità che si esprime nel fare, produrre qualcosa da parte dell’individuo.

    In epoca romana i termini in lingua latina “ars” (plurale“artis”) alludevano all’abilità nel progettare o costruire.

    Nella lingua italiana il sostantivo arte comparve nel XIII secolo: indicava l’attività regolata da procedimenti tecnici, fondata sullo studio e l’esperienza.

    L’attuale significato della parola “arte” cominciò a delinearsi nel XIV secolo con riferimento particolare alla pittura, scultura e architettura.

    Il sostantivo “arte” include due aree semantiche distinte, e ciò genera confusione.

    Arte intesa come “techne”, come abilità, capacità di eseguire un procedimento in relazione allo scopo prefissato.

    Arte intesa come comunicazione, l’espressione di un sentimento, di uno stato d’animo.

    Artista è colui che trascende la realtà ed esprime la sua idea in un atto creativo.

    Nell’ambito delle cosiddette teorie del bello o dell’estetica, si tende a dare al termine arte un significato vario secondo le diverse epoche e i diversi orientamenti critici, per indicare un particolare prodotto culturale, comunemente classificato come pittura, scultura, architettura, musica, poesia, ecc.

    Torno alla domanda inziale.

    Cos’è l’arte ? Questo concetto è oggetto di opinioni discordanti.

    Esiste la storia dell’arte, o delle arti, perciò si deve tentare di definire cos’è l’arte, cosa s’intende per opera d’arte.

    Cosa può essere definito arte e cosa no.

    Io interpreto l’arte come connubio tra sentimenti e tecnica, perché l’arte deve esprimere emozioni e sentimenti tramite la tecnica.

    Sono numerose le attività comprese nel concetto di “attività artistica”, perciò è necessario centrare l’attenzione sul risultato di tali attività: il prodotto artistico, che scaturisce dall’attività di un creatore, di un’artista, che poi sottopone al giudizio dei fruitori che attribuiscono giudizi di valore al prodotto realizzato dall’artista.

    I prodotti artistici vengono creati per sopravvivere al loro creatore. Nell’opera d’arte sono racchiusi valori spirituali scaturiti dall’esperienza personale dell’artista nella realtà sociale in cui vive.

    L’originalità è fondamentale in un’opera d’arte.

    L'arte nel suo significato più ampio comprende ogni attività – svolta singolarmente o collettivamente – che porta a forme di creatività e di espressione estetica, poggiando su accorgimenti tecnici, abilità innate o acquisite e norme comportamentali derivanti dallo studio e dall'esperienza.

    L'arte è una forma espressiva estetica, evidenzia l'opinione dell'artista, è simile ad un linguaggio, tuttavia non esiste un unico linguaggio artistico e neppure un unico codice inequivocabile di interpretazione.

    Alcuni filosofi e studiosi di semantica, invece, sostengono che esista un linguaggio artistico oggettivo che prescinde dalle epoche e dagli stili, ma dovrebbe essere codificato per poter essere compreso da tutti. Gli sforzi per dimostrare questa affermazione finora sono vani.


    Karl Pavlovic Brjullov, Il Genio dell'Arte, 1817, Museo di Sanpietroburgo
    Ultima modifica di doxa; 19-05-2025 alle 13:30

  6. #6
    Opinionista L'avatar di axeUgene
    Data Registrazione
    17/04/10
    Località
    sotto una quercia nana in zona Porta Genova
    Messaggi
    23,184
    Citazione Originariamente Scritto da doxa Visualizza Messaggio

    Cosa può essere definito arte ?
    ...

    Alcuni filosofi e studiosi di semantica, invece, sostengono che esista un linguaggio artistico oggettivo che prescinde dalle epoche e dagli stili, ma dovrebbe essere codificato per poter essere compreso da tutti.
    l'interazione con l'osservatore sgancia il testo dalla funzione mimetica, per collocarlo in un contesto in cui quello stesso testo assume un significato consolidato e nuovo, diverso;
    con la lingua siamo abituati: a Livorno chiamare "ca'atina" un neonato è un dire affettuoso, che nessuno equivoca, anche se ordinariamente associare qualcuno alle feci non è un gesto affettuoso;
    la stessa parabola coprologica in inglese è plateale, attraverso il linguaggio di strada, passando attraverso il gergo dei tossicomani e spacciatori;
    per cui, la semiologia generalmente conclude che è arte ciò che gli interessati ritengono tale;

    tuttavia, come metro approssimativo potremmo contemplare un'ambiguità dei piani di lettura del testo, che emerga da questo, senza necessità per l'osservatore di ricorrere a spiegazioni extra-testuali;
    che so, il volto di popolano di una figura sacra in Caravaggio è un elemento che nel suo contesto è inequivocabilmente una scelta destinata ad essere percepita come rottura di uno schema dall'ossevatore ordinario;

    questa cosa si contrappone ad una ipotetica rappresentazione che sia esclusivamente didascalica, in cui l'artista non inserisce alcun elemento che perturba il messaggio oltre a quella pedagogia intesa; ovviamente, qui si entra in un ambito piuttosto complesso sotto il profilo critico;

    però, se nel concettuale la sfida dell'ambiguità è il punto, esplicitamente, nel figurativo mimetico si possono distinguere tanti gradi di dissociazione tra la funzione meramente didascalica e l'appropriazione del soggetto da parte dell'artista, il quale "ci mette del suo"
    c'� del lardo in Garfagnana

Permessi di Scrittura

  • Tu non puoi inviare nuove discussioni
  • Tu non puoi inviare risposte
  • Tu non puoi inviare allegati
  • Tu non puoi modificare i tuoi messaggi
  •  
  • Il codice BBAttivato
  • Le faccine sono Attivato
  • Il codice [IMG]Attivato
  • Il codice [VIDEO]Attivato
  • Il codice HTML � Disattivato