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Anelli e lacrime
Cosa vediamo quando guardiamo un’immagine che “colpisce”? Cosa ci succede dentro quando uno scatto, una ripresa televisiva in primissimo piano che ci mostra un "sentire intenso", irrompe nella nostra soglia percettiva? Un esempio: un papa, occhi lucidi, assorto davanti a un anello dal valore simbolico. L'operatore é là. Il regista anche: "Vai con la due !"... onde che si propagano nello spaziotempo e dintorni. Ed ecco che il mondo vede, si commuove, scrive, condivide. Un'altra pagina di "Storia" é scritta.
Ma accade davvero qualcosa? O stiamo guardando un’operazione finemente confezionata, una minuziosa coreografia, prevista dal copione, in uno scenario ben studiato nei minimi dettagli da chi conosce perfettamente i codici visivi del nostro tempo? La differenza tra uno scoop e una regia, oggi, è sottile quanto un riflesso sulla lente. Nell’epoca dell’onnipresenza mediatica, l’imprevisto diventa materiale d’architettura, e l’architettura si finge sorpresa.
L’immagine percutante, cioè, capace di influenzare l'immaginario dello spettatore, diventando parte del suo "vissuto", di "bucare" lo schermo e captare l'attenzione, non nasce più dalla casualità e dalla eccezionalità dell'evento ( o almeno, non soltanto) . Nasce da un incrocio sempre più ambiguo tra l’evento e la sua messa in scena. Il papa che si commuove potrebbe anche essersi commosso davvero. Ma il modo in cui quella commozione è stata catturata, incorniciata, distribuita, interpretata... tutto questo fa parte di un circuito semiotico (é il parolone di oggi) e simbolico ben più complesso.
Perché oggi ogni gesto pubblico è essenzialmente e prioritariamente “immagine”, e ogni immagine vuole essere racconto. Ma chi scrive il racconto? Chi ne definisce il significato? I comunicatori del potere, i registi dell’empatia, i consulenti dell’aura. I tecnici della luce e dell’ombra morale. L’immagine non è più solo una testimonianza: è soprattutto un "prodotto". E come ogni prodotto, viene modellata per il consumo.
Questo solleva un problema etico non da poco: possiamo più distinguere tra la verità di un’immagine e la sua verosimiglianza emotiva? Se l’obiettivo non è mostrare il reale, ma costruire l’aderenza dell’emozione, allora ogni lacrima diventa sospetta, ogni sorriso una strategia. Non si tratta tanto di dire “è falso”, quanto di chiedersi: “perché mi colpisce così tanto?” e "chi ha deciso che mi dovesse colpire?"
In un mondo dove l’apparire conta più dell’essere, l’immagine percutante non è più documento, ma "investimento". Che deve "rendere".
Cosa vediamo, dunque? Il momento, o il montaggio? L’uomo, o il mito? L’evento, o la sua ideale drammatizzazione? La camera che cattura o la regia che guida la coreografia...che ci prende e conduce? E conduce, dove?
Se ogni occhio è ormai un riflettore, e ogni lacrima un copione...Cosa vediamo quando guardiamo?...E, poi, c'é qualcuno che guarda? E chi é?
Vassapé.
Ultima modifica di restodelcarlino; 19-05-2025 alle 10:10
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