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L' Infinito...ma non ce ne sono troppi?
Parliamo spesso di “Infinito” come se fosse "una cosa" : un’entità misteriosa, "Ente esistente" che sfugge al nostro sguardo ma aleggia sopra tutto. Divina. È l’orizzonte che non si raggiunge mai, lo spazio oltre lo spazio, il numero più grande che...
...nu momento..aspetta, no. Qui arriva la matematica con la sua solita pignoleria fastidiosa, da vecchia zitella o da giullare scassamarroni e ci dice: "Non esiste un solo infinito. Ne esistono tanti. E se ce ne sono tanti, forse “l’infinito” – quello con l’articolo determinativo e magari la maiuscola – non esiste affatto."
Sembra un paradosso ma non lo è. L’idea risale ad un certo Cantor, non divo di Sanremo, ma matematico nell’Ottocento. Fu lui a dare forma e sostanza agli infiniti, trattandoli come oggetti di studio precisi. La sua scoperta più famosa è che ci sono infiniti più grandi di altri. Un po’ come dire che ci sono cieli più vasti del cielo — e già questo, per un filosofo antico, al quale il concetto di "infinito" provocava l'orticaria, sarebbe bastato a mandare in crisi l’intero edificio dell’Essere.
Cantor iniziò con i numeri naturali: 1, 2, 3, 4… Non finiscono mai, e sono infiniti. Come i numeri pari e quelli dispari: che sono infiniti, ma "di meno" di quelli naturali? A se guardiamo i numeri reali — tutti quelli con virgole infinite, come √2 o π — scopriamo che non si possono nemmeno mettere in fila come i naturali. Ce ne sono così tanti che tra ogni coppia di numeri reali c'è un altro, e un altro ancora. Sono "di più"?L’infinito dei numeri reali è più “denso/grande” di quello dei numeri naturali? Insomma: ci sono infiniti più “pieni” di altri.
Questa scoperta, che pare pura astrazione, tocca anche la filosofia. Perché se “infinito” non è unico, ma molteplice, allora non possiamo più usarlo come simbolo dell’Assoluto. Non possiamo più dire “L’Infinito” con la maiuscola e pensare di aver evocato qualcosa di definitivo. E di Esistente. L’infinito, in matematica, non è il tutto: è una famiglia disordinata di grandezze che non si lasciano racchiudere in un unico concetto.
Nel pensiero classico, da Platone a Spinoza, l’infinito era spesso l’attributo supremo della verità o di Dio. Ma l’infinito matematico moderno è umile, quasi comico nella sua varietà. Alcuni infiniti si somigliano, altri si superano. Alcuni si lasciano ordinare, altri no. Esistono anche infiniti così grandi che non sappiamo nemmeno se esistano davvero (sono i famosi “grandi cardinali” che la matematica esplorativa tenta di definire).
E così, mentre pensiamo all’infinito come simbolo dell’eterno e dell’immutabile, la matematica ci racconta di un infinito instabile, molteplice, che si divide, si confronta, si classifica. Un infinito che non ha l’ultima parola, ma apre mille discorsi.
Forse è proprio questo il punto. L’infinito, come concetto assoluto, è un’illusione della nostra sete di totalità. Ma l’infinito come campo aperto di possibilità, questo sì, esiste. Solo che si presenta al plurale.
Un infinito che non ha l’ultima parola, ma apre mille discorsi.
A chi proponga, sussurrando o urlando, con tono mistico o meno: “ Dio é l’Infinito”, si dovrebbe domandare:
“Possibile. Ma quale? Quello che si conta, quello che si mappa, o quello che si nasconde dietro una formula che nessuno osa semplificare?”
Perché alla fine, l’Infinito non è una verità rivelata, ma un concetto che si divide più in fretta delle religioni.
La matematica, almeno, non ti promette salvezza: ti mostra soltanto che dopo ogni infinito… ce n’è sempre un altro. E un altro ancora.
Qualcuno, si dice, si riposò al settimo giorno.
L’infinito, invece, pare non aver mai preso ferie.
Continua a moltiplicarsi, a scomporsi, a sfuggire alla quiete dell’Uno.
Nessun dogma, nessuna rivelazione. Solo il gusto, tipicamente matematico, di complicare ciò che sembrava assoluto.
E forse è proprio in questa instancabile irrequietezza che si nasconde la sua verità più scomoda.... che lo rende così... sospettosamente reale.
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رباني
E un infinito che contiene tutti gli infiniti immaginabili e inimmaginabili?
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