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Discussione: Coerenza: in che squadra gioca?

  1. #1

    Coerenza: in che squadra gioca?

    Coerenza
    Che roba é? Un concetto?
    Quando diciamo che qualcosa è vero, ci riferiamo implicitamente ad un’idea di Verità. Quando diciamo che è giusto o bello, evochiamo concetti che, per loro natura, implicano un richiamo a un valore ideale.
    La coerenza, no. Chi dice “è coerente” non guarda all'Iperuranio platonico (ClubMed delle idee), ma alla terra su cui poggia l'affermazione.
    La coerenza non giudica rispetto a un assoluto, ma rispetto a una premessa concreta: detta o implicita, dichiarata o agita. È un giudizio "terra-terra", ma non per questo meno esigente.
    Non si chiede: “Questa affermazione è vera?” né “Questa azione è giusta?”. Si chiede: “Questa cosa regge rispetto a ciò da cui è partita?”.
    È un giudizio "modesto". Non pretende di sapere dove si dovrebbe andare, ma si domanda se la direzione intrapresa ha senso.
    In questo senso, la coerenza è meno ambiziosa, ma più accessibile: non serve conoscere I Grandi Valori...il Vero....il Bene....il Giusto..basta ricordarsi cosa si è detto ieri .
    In filosofia, la coerenza è un criterio silenzioso ma onnipresente.
    Aristotele fonda la logica sul principio di non contraddizione: una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e nello stesso senso. Senza coerenza, nessun ragionamento sarebbe possibile.
    Socrate, con il suo metodo maieutico, metteva a disagio i suoi interlocutori proprio chiedendo loro coerenza: “Ma se dici A, come puoi anche sostenere B?”
    Non cercava verità rivelate, ma portare alla luce le incoerenze sepolte sotto le convinzioni. La coerenza, in questo caso, è un atto di onestà intellettuale, un modo per vedersi meglio, anche nelle proprie contraddizioni.
    Nietzsche, invece, diffida della coerenza come feticcio dei deboli: troppo spesso serve a mascherare l’incapacità di cambiare. Per lui, solo lo spirito libero osa contraddirsi e cambiare se stesso. Ma Nietzsche fu, paradossalmente, coerente nel suo dinamismo: non cambiava per convenienza, ma per destino.
    Nel pensiero "religioso" la coerenza assume una valenza esistenziale.
    Kierkegaard, pensatore religioso ma cristiano irregolare, é "moderno". Per lui, la verità è soggettiva, nel senso esistenziale del termine: vivere la verità è più importante che formularla.
    Ma proprio per questo, la coerenza tra ciò che si professa e ciò che si vive diventa decisiva: in "Timore e tremore" la scelta di Abramo é la coerenza dell'esistenza con se stessa.
    Non astratta, ma vissuta anche di fronte all'assurdo.
    Lo scommettitore Pascal, dalla sua parte, sapeva che la ragione è debole, ma chiedeva coerenza nel cuore: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.” Eppure, anche queste ragioni ( affettive, interiori) devono tenere, non possono contraddirsi ogni due-per-tre.
    Simone Weil, con quella sua lucidità scorticante, ha fatto della coerenza una forma di obbedienza alla realtà: non si può amare Dio, diceva, senza amare il peso del mondo. Ogni fuga mistica che ignora l’ingiustizia è incoerente. Per lei, coerenza significava: non voltare lo sguardo altrove.
    E Agostino, tra i Padri della Chiesa, compie il salto più radicale: ammette che per anni ha vissuto nella contraddizione, cercando verità mondane mentre parlava di eternità.
    Solo nelle Confessioni la coerenza diventa possibile: quando il pensiero, la vita e la fede si riconciliano. “Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova” dice, riconoscendo che la verità non era un’idea, ma una presenza a cui essere fedeli.
    Nel nostro tempo, dove l’identità cambia come un avatar e le dichiarazioni valgono meno dei like, la coerenza sembra una virtù anacronistica, una rarità.
    Ma tanto più necessaria quanto più è disattesa. La retorica cambia maschera ogni giorno, le identità si moltiplicano, i discorsi pubblici si smontano da soli.
    In questo panorama, la coerenza diventa non un riferimento etico, ma un criterio di "leggibilità"...di "falsificabilità", in un certo senso.
    Un politico può essere incoerente e avere successo. Un artista incoerente può apparire geniale. Ma nel momento in cui qualcuno formula un giudizio, si attiva implicitamente la domanda: “Questo discorso è allineato con la sua premessa?” Non: “Mi piace?” ma: “Funziona? Tiene?”
    Per questo la coerenza non è una virtù personale, ma una condizione del linguaggio e del pensiero. Un ragionamento incoerente può anche essere brillante, ma alla lunga non regge. Un comportamento incoerente può anche essere comprensibile, ma non è giustificabile. Un’identità incoerente può essere sfaccettata, ma rischia di non essere più riconoscibile.
    In conclusione, la coerenza non è un valore ideale, ma ciò che rende i valori riconoscibili.
    Non ci dice cosa sia il Bene, né dove stia la Verità, ma ci consente di accorgerci se qualcuno sta...facendo il gioco delle tre carte. Manco a dirlo, la coerenza non va mitizzata.
    Un fanatico può essere coerente. Un tiranno può vantarsi della propria inflessibilità. Un sistema dogmatico delirante può essere perfettamente coerente con sé stesso: per questo la coerenza non è un bene in sé, ma un criterio di leggibilità.
    Permette di giudicare se un discorso sta in piedi, non se conduce alla verità. Da la possibilità di rintracciare il filo tra le intenzioni e gli effetti, tra l’inizio e lo sviluppo.

    In conclusione, la coerenza non pretende di dire cosa sia buono, vero o bello.
    Non dice cosa sia la verità, ma ci permette almeno di accorgerci quando un discorso la tradisce.
    Non insegna cosa sia Dio, ma ci fa capire se lo cerca o lo si usa .
    Non dà una meta, ma chiede se si sta davvero camminando.
    Ultima modifica di restodelcarlino; 21-05-2025 alle 16:35 Motivo: frammentazione

  2. #2
    (seguito)
    Coerenza
    E' un comportamento?
    Qualche volta è (o era?) presentata come una virtù morale. L’uomo "coerente" mantiene la parola data, agisce secondo i suoi principi, e non si contraddice.
    E se invece fosse soprattutto una necessità pratica: una forma di igiene interiore ?
    Non si tratta solo di fare il bravo soldatino dell’etica, come avrebbe voluto Kant, quello con l’imperativo categorico sempre in tasca e il passo da passeggiata cronometrata.
    E neppure la coerenza del φρόνιμος , phronimos : il saggio di Aristotele, che cercava il giusto mezzo tra l’incoerenza molle e il fanatismo rigido, con la stessa calma con cui si versa olio nell’anfora.
    La coerenza non è un codice da seguire, ma una condizione per non sbiciolarsi "dentro"
    Quando pensiero, parola e azione si disallineano troppo, nasce attrito. Si genera quella stonatura sottile che ci fa sentire fuori posto anche in casa propria.
    Si vive in contraddizione permanente, e le contraddizioni, lo diceva anche Hegel, non si risolvono ignorandole: crescono, fermentano, e prima o poi esplodono.
    E lo sapeva bene,perché con le contraddizioni ci giocava a domino: o le attraversi, o ti attraversano loro. La coerenza serve allora non tanto a “fare bella figura”, ma a restare leggibili a sé stessi.
    Essere coerenti, allora, non vuol dire restare immobili. Cambiare idea è "coerente ", se lo si fa con consapevolezza
    Certo, bisogna evitare la coerenza ottusa, da buoi, dalla quale Nietzsche, ci metteva in guardial, quella dell’uomo che rimane fedele a se stesso solo per abitudine, per paura di smentirsi., quella che chiamava “virtù da burattino di legno”.
    Lui, che si faceva beffe dei sistemi troppo ordinati, ci ricordava che cambiare idea è segno di vita, non di debolezza.
    A questa ricerca di coerenza interiore si sono interessati anche i pensatori religiosi, che non di rado l’hanno considerata condicio sine qua non per la salvezza dell’anima.
    Per Agostino, ad esempio, ex mondano convertito con fuochi d’artificio teologici , la coerenza non è semplice allineamento tra pensiero e azione, ma la fatica di far convergere la volontà umana con il bene assoluto.
    Scriveva nelle Confessioni come chi cercasse di ricucire uno strappo interiore: il cuore diviso, la volontà biforcuta. Coerente non è chi è già “giusto”, ma chi combatte sinceramente per esserlo, inciampi compresi.
    E Tommaso d’Aquino, metodico come un ingegnere medievale della grazia, vedeva la coerenza come il frutto dell’armonia tra ragione e fede: la legge naturale, scritta da Dio stesso nel cuore dell’uomo, diventa il metro per vivere rettamente. Ma non senza inciampi, sia chiaro.
    Anche Tommaso, che in fondo era un ragazzo di buona famiglia mandato a studiare con i domenicani, sapeva che la coerenza è una costruzione, non un dono celeste: una fatica felice, potremmo dire.
    Nella prospettiva religiosa, allora, la coerenza assume un tono esistenziale: non si tratta solo di “non contraddirsi”, ma di non tradirsi davanti a Dio.
    Di non vivere in modo scisso tra ciò che si professa e ciò che si pratica.
    Poi, certe forme di coerenza religiosa diventano presto maschere, o peggio, "manganelli " spirituali.
    Ma quando invece essa è vissuta come convergenza sincera , tra pensiero, azione e verticalità interiore, allora sì, ha qualcosa di sacro. O di profondamente umano.
    In fondo, la coerenza è una forma di rispetto verso "se stesso", il bipede senziente, qualche volta pensante, spesso un po’ confuso, che si é.
    Non si tratta di essere perfetti, ma di essere "vivibili". Vivibili. Insomma, la vera coerenza non è non cambiare mai, ma sapere ogni sera con chi si sta andando a letto: se con se stessi, o con una scusa ben truccata.

    E restano aperte le domande :
    Ci aggrappiamo davvero a un principio… o solo alla comodità di non doverne cercare uno nuovo?
    Quante volte confondiamo la coerenza con la paura di sembrare incoerenti agli occhi altrui ?
    Vassapé.

    Nota per Mod: La discussione é aperta qui, in quanto potrebbe avere riferimenti "etici". E perché cosi, ci si puo' esprimere, volendolo, copincollando biblicamente.

    (fine)
    Ultima modifica di restodelcarlino; 21-05-2025 alle 16:35 Motivo: frammentazione

  3. #3
    Opinionista L'avatar di axeUgene
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    consiglierei umilmente la SV di frammentare le dissertazioni in capoversi di 5,6 righe, poiché nelle dimensioni del telefonetto la lettura risulta per la vista più perniciosa della filmografia intiera della sig.ra Selen
    c'� del lardo in Garfagnana

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