Coerenza![]()
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Che roba é? Un concetto?
Quando diciamo che qualcosa è vero, ci riferiamo implicitamente ad un’idea di Verità. Quando diciamo che è giusto o bello, evochiamo concetti che, per loro natura, implicano un richiamo a un valore ideale.
La coerenza, no. Chi dice “è coerente” non guarda all'Iperuranio platonico (ClubMed delle idee), ma alla terra su cui poggia l'affermazione.
La coerenza non giudica rispetto a un assoluto, ma rispetto a una premessa concreta: detta o implicita, dichiarata o agita. È un giudizio "terra-terra", ma non per questo meno esigente.
Non si chiede: “Questa affermazione è vera?” né “Questa azione è giusta?”. Si chiede: “Questa cosa regge rispetto a ciò da cui è partita?”.
È un giudizio "modesto". Non pretende di sapere dove si dovrebbe andare, ma si domanda se la direzione intrapresa ha senso.
In questo senso, la coerenza è meno ambiziosa, ma più accessibile: non serve conoscere I Grandi Valori...il Vero....il Bene....il Giusto..basta ricordarsi cosa si è detto ieri.
In filosofia, la coerenza è un criterio silenzioso ma onnipresente.
Aristotele fonda la logica sul principio di non contraddizione: una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e nello stesso senso. Senza coerenza, nessun ragionamento sarebbe possibile.
Socrate, con il suo metodo maieutico, metteva a disagio i suoi interlocutori proprio chiedendo loro coerenza: “Ma se dici A, come puoi anche sostenere B?”
Non cercava verità rivelate, ma portare alla luce le incoerenze sepolte sotto le convinzioni. La coerenza, in questo caso, è un atto di onestà intellettuale, un modo per vedersi meglio, anche nelle proprie contraddizioni.
Nietzsche, invece, diffida della coerenza come feticcio dei deboli: troppo spesso serve a mascherare l’incapacità di cambiare. Per lui, solo lo spirito libero osa contraddirsi e cambiare se stesso. Ma Nietzsche fu, paradossalmente, coerente nel suo dinamismo: non cambiava per convenienza, ma per destino.
Nel pensiero "religioso" la coerenza assume una valenza esistenziale.
Kierkegaard, pensatore religioso ma cristiano irregolare, é "moderno". Per lui, la verità è soggettiva, nel senso esistenziale del termine: vivere la verità è più importante che formularla.
Ma proprio per questo, la coerenza tra ciò che si professa e ciò che si vive diventa decisiva: in "Timore e tremore" la scelta di Abramo é la coerenza dell'esistenza con se stessa.
Non astratta, ma vissuta anche di fronte all'assurdo.
Lo scommettitore Pascal, dalla sua parte, sapeva che la ragione è debole, ma chiedeva coerenza nel cuore: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.” Eppure, anche queste ragioni ( affettive, interiori) devono tenere, non possono contraddirsi ogni due-per-tre.
Simone Weil, con quella sua lucidità scorticante, ha fatto della coerenza una forma di obbedienza alla realtà: non si può amare Dio, diceva, senza amare il peso del mondo. Ogni fuga mistica che ignora l’ingiustizia è incoerente. Per lei, coerenza significava: non voltare lo sguardo altrove.
E Agostino, tra i Padri della Chiesa, compie il salto più radicale: ammette che per anni ha vissuto nella contraddizione, cercando verità mondane mentre parlava di eternità.
Solo nelle Confessioni la coerenza diventa possibile: quando il pensiero, la vita e la fede si riconciliano. “Tardi ti amai, bellezza tanto antica e tanto nuova” dice, riconoscendo che la verità non era un’idea, ma una presenza a cui essere fedeli.
Nel nostro tempo, dove l’identità cambia come un avatar e le dichiarazioni valgono meno dei like, la coerenza sembra una virtù anacronistica, una rarità.
Ma tanto più necessaria quanto più è disattesa. La retorica cambia maschera ogni giorno, le identità si moltiplicano, i discorsi pubblici si smontano da soli.
In questo panorama, la coerenza diventa non un riferimento etico, ma un criterio di "leggibilità"...di "falsificabilità", in un certo senso.
Un politico può essere incoerente e avere successo. Un artista incoerente può apparire geniale. Ma nel momento in cui qualcuno formula un giudizio, si attiva implicitamente la domanda: “Questo discorso è allineato con la sua premessa?” Non: “Mi piace?” ma: “Funziona? Tiene?”
Per questo la coerenza non è una virtù personale, ma una condizione del linguaggio e del pensiero. Un ragionamento incoerente può anche essere brillante, ma alla lunga non regge. Un comportamento incoerente può anche essere comprensibile, ma non è giustificabile. Un’identità incoerente può essere sfaccettata, ma rischia di non essere più riconoscibile.
In conclusione, la coerenza non è un valore ideale, ma ciò che rende i valori riconoscibili.
Non ci dice cosa sia il Bene, né dove stia la Verità, ma ci consente di accorgerci se qualcuno sta...facendo il gioco delle tre carte. Manco a dirlo, la coerenza non va mitizzata.
Un fanatico può essere coerente. Un tiranno può vantarsi della propria inflessibilità. Un sistema dogmatico delirante può essere perfettamente coerente con sé stesso: per questo la coerenza non è un bene in sé, ma un criterio di leggibilità.
Permette di giudicare se un discorso sta in piedi, non se conduce alla verità. Da la possibilità di rintracciare il filo tra le intenzioni e gli effetti, tra l’inizio e lo sviluppo.
In conclusione, la coerenza non pretende di dire cosa sia buono, vero o bello.
Non dice cosa sia la verità, ma ci permette almeno di accorgerci quando un discorso la tradisce.
Non insegna cosa sia Dio, ma ci fa capire se lo cerca o lo si usa .
Non dà una meta, ma chiede se si sta davvero camminando.