Nel tempo in cui gli uomini si sciolgono come ghiaccioli sotto il sole di un "ti devo parlare", e la virilità ha la consistenza dell’ovatta bagnata, riemerge una figura antica e denigrata, ma in fondo insostituibile: lo Sciupafemmine.
Non il volgare raccoglitore seriale di consensi ormonali, ma il raffinato antropologo del desiderio, il sacerdote dell’attenzione temporanea. Quello che, una volta sparito, ti lascia il segno come un graffio sottile sulla psiche, non come un pugno maldestro sull'autostima.
Zygmunt Bauman, nell’individuare la "società liquida", non sospettava che l’uomo stesso avrebbe finito per diventare un fluido di gestione emotiva difficile.
Oggi l’archetipo maschile dominante oscilla tra il diluito emotivo e l’assorbente sentimentale.
Il primo si adatta a tutto ma non sostiene nulla. Il secondo si inzuppa di bisogni altrui fino a marcire.
Entrambi sono, per dirla con il sociologo Bicalcato Gallimberta "maschi biodegradabili": si decompongono alla prima intemperie sentimentale.
Di fronte a questa pandemia di “cartavelina emotiva”, la donna contemporanea, soprattutto quella dotata di spirito critico e coscia allenata, si trova a fronteggiare partner il cui massimo slancio passionale consiste nel “sentirsi inadeguati” ma con empatia.
È qui che entra in scena lo Sciupafemmine: figura liminale, irregolare, spesso disprezzata in pubblico e invocata in privato.
Non un eroe, ma un catalizzatore.
Lo Sciupafemmine , sia ben chiaro, non ama. O meglio, ama l’amare. Il suo orizzonte non è la conquista, ma la tensione della possibilità.
È l'uomo che sa guardare senza possedere, toccare senza stringere, alludere senza consumare. E anche quando consuma, lo fa con la leggerezza del dilettante esistenziale, consapevole che ogni godimento, per essere tale, deve sapere di fine imminente.
Come sosteneva il filosofo neoromantico Jean-Michel Séducteur, “lo Sciupafemmine è l’unico uomo che prende le donne sul serio, proprio perché non le prende per sempre”.
Lo Sciupafemmine non promette eternità, e proprio per questo lascia un ricordo duraturo.
Il suo gioco è onesto nella sua disonestà, trasparente nel suo opaco ondeggiare.
Dove l’uomo liquido si dissolve al momento del bisogno, lo sciupafemmine incarna la forma fluida, come una scultura di vapore.
È provocatorio (nonché estremamente rischioso) dirlo, ma lo Sciupafemmine svolge una funzione didattica nella maturazione dell’identità femminile postmoderna.
La sua presenza-assenza stimola il confronto con l’immaginario, con la proiezione, con il limite.
È un allenatore di illusioni, un personal trainer del disincanto, un mecenate dell'autonomia affettiva.
Molte donne (e qui citiamo la sociologa Maura van Hysteria) dichiarano di “aver capito chi erano” proprio grazie all’incontro con uno Sciupafemmine.
Non è stato un amore, ma un esame orale ben condotto.
La sua capacità di ascoltare mentre sorseggia disinteresse apparente è, in realtà, uno specchio in cui la donna si riflette nella sua versione migliore e peggiore.
E quando lui sparisce, come fa sempre, come deve, lascia una ferita pulita, chirurgica, utile. Una microchirurgia identitaria.
Ogni sistema vitale ha bisogno di una forza oppositiva che ne stimoli la crescita. Lo Sciupafemmine è il parassita necessario della foresta emotiva: destabilizza, sì, ma fa fiorire.
È un vaccino esistenziale, somministrato in dosi eleganti.
Dove l’uomo cartavelina si frantuma nel “dimmi cosa vuoi che io sia”, il nostro eroe offre il mistero, la sfida, il rischio della non conferma.
Non per crudeltà, ma per funzione epistemologica (parolone domenicale : check): attraverso di lui, si impara che l'altro non è mai decifrabile del tutto.
E che il desiderio, per esistere, deve essere frustrato almeno un po’.
Se la relazione è una liturgia, lo Sciupafemmine è il prete eretico che la celebra a modo suo, per rivelarne le crepe e i dogmi.
Certo, lo Sciupafemmine non gode di buona stampa. È accusato di irresponsabilità, narcisismo, colonizzazione affettiva.
Ma chi lo accusa spesso lo confonde con il tamarro compulsivo, collezionista da discount del cuore.
No, il vero Sciupafemmine è lo stilista dell’ambiguità, e la sua etica è quella dell’intensità temporanea.
Non promette, non illude, non costringe.
Fa solo ciò che fa il fuoco: scalda, e poi brucia, ma non pretende di diventare termosifone.
La sua utilità è invisibile: come un trauma costruttivo, rivela verità attraverso il dolore, o meglio, attraverso il piacere che non torna.
In un mondo dove tutti vogliono essere solidi, presenti, responsabili e prevedibili, in un mondo, cioè, dove nessuno ha più il coraggio di dire di sedurre senza voler salvare, lo Sciupafemmine è la scintilla del caos benefico.
Non c’è bisogno di imitarlo, né di glorificarlo. Basta riconoscerne la funzione: senza di lui, molte donne si accontenterebbero di uomini buoni come biscotti integrali, senza sapere che esiste anche il piccante.
E allora, con tutto il rispetto per la cartavelina, utile a incartare i fiori, ma a strapparsi sulle spine, diciamolo forte:
"SIA BENEDETTO LO SCIUPAFEMMINE ! "
Ogni tanto serve qualcuno che ti guardi come se fossi un mistero da non risolvere, ma da complicare con stile.