
Originariamente Scritto da
restodelcarlino
Il campo di cipolle era in piena fioritura e in piena contemplazione. Ogni fiore, un pensiero. Ogni bulbo, un io trascendentale. Ogni radice, una tesi sul rapporto tra terra e tempo. Tutto andava secondo l’armonia del ciclo agricolo-mistico, quando il cielo, evidentemente in preda a una crisi isterico-esistenziale, decise di grandinare.
La grandine scese senza alcun preavviso epistemologico. Non bussò. Non chiese permesso. Fu un ingresso brutale nel flusso semantico del campo. I fiori, colpiti in pieno pathos, iniziarono a recitare aforismi in sanscrito immaginario. Alcuni provarono a giustificare il fenomeno con una teoria delle stringhe aromatiche, ma vennero zittiti da un chicco di ghiaccio grosso come un uovo di gallina isterica.
L’ontologia del campo vacillò. Una cipolla, colpita in piena corona floreale, gridò: “Io non sono solo un ortaggio! Io sono un essere relazionale! Un processo! Una sinergia di mucillagini e memoria collettiva!”
Nessuno rispose, ma il lombrico di passaggio prese appunti.
In quell’istante, tutto si fece chiaro. L’essere-nel-mondo-di-cipolla non è mai stato stabile. È fluido, volatile, e leggermente pungente.
Il dolore della grandine era parte del tutto: entropico, caotico, pedagogico, meteorologico, e vagamente punitivo per una colpa che il campo stesso non ricordava. Una vecchia storia di cipolle vietate e mangiate su istigazione di un criceto diabolico.
Alla fine, il silenzio. Le cipolle, semidistrutte, ma filosoficamente evolute, accettarono l’accaduto come manifestazione di un tutto che non prevede sconti orticoli. Greta non intervenne.
Così si concluse la giornata: con bulbi feriti, fiori stropicciati e una nuova consapevolezza vegetale.
I future delle cipolle salirono alle stelle, e quelli dei porri agli inferi.
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C'est la vie.