Doppio.
Doppio.
Fate l'amore, non la guerra.
Lavorare tutti, lavorare meno.
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Sotto stress, la preghiera di Mosè diventa quasi un lamento — Così gli israeliti espressero la loro insoddisfazione per il cibo che il Signore offriva. Parole come queste erano ingiuste, anche perché tutti erano testimoni del fatto che, nonostante le difficoltà quotidiane, non vi era un solo malato in Israele: la manna era davvero un alimento adeguato alle loro necessità. Ascoltando quelle proteste, Mosè provò un profondo scoraggiamento. Aveva implorato Dio di non distruggere Israele, perché potesse diventare una grande nazione. Amava quella gente a tal punto che aveva pregato il Signore di salvarli, anche se avesse dovuto rinunciare alla sua salvezza eterna. Aveva rischiato tutto, per amore del suo popolo: questa era la ricompensa. Mosè sentiva personalmente il peso di quelle accuse: era considerato responsabile di tutte le loro difficoltà, perfino di quelle immaginarie. Certo, si trattava di proteste suggerite dalla cattiveria, ma esse rendevano ancora più opprimente il peso delle preoccupazioni e delle responsabilità, che già lo faceva vacillare. In quel momento critico fu tentato di perdere la sua fiducia in Dio. Si rivolse a lui quasi con un lamento: «... Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho io trovato grazia agli occhi tuoi, che tu m’abbia messo addosso il carico di tutto questo popolo? ... Donde avrei io della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro a me, dicendo: Dacci da mangiare della carne! Io non posso, da me solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me». Il Signore ascoltò la sua preghiera e gli suggerì di scegliere settanta uomini tra gli anziani d’Israele. Il loro requisito più importante non era tuttavia l’età: dovevano essere innanzi tutto persone autorevoli, piene di dignità ed esperienza, dotate di una solida capacità di giudizio. «... Conducili alla tenda di convegno» gli disse «e vi si presentino con te. Io scenderò e parlerò quivi teco; prenderò dello spirito che è su te e lo metterò su loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo”. — Patriarchs and Prophets, 379, 380
Mosè invoca misericordia per Israele — Mosè si alzò ed entrò nel santuario. Il Signore dichiarò: Io lo colpirò con la peste, e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente. (V.12) Ma ancora una volta Mosè decise di intercedere per Israele: non poteva permettere la distruzione del suo popolo, anche se sarebbe potuto diventare il capostipite di una nazione più potente. Appellandosi alla bontà del suo Creatore, disse: "Si mostri, ti prego, la potenza del Signore nella Sua grandezza, come tu hai promesso dicendo. . . l’Eterno è lento all’ira e grande in benignità. . . Deh, perdona l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua benignità, nel modo che hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui." (vv.17-19) Dio promise di non distruggere immediatamente gli Israeliti, tuttavia, a causa della loro vita e del loro ostinato scetticismo di fronte agli interventi divini, non li avrebbe più aiutati a sconfiggere i nemici. Nonostante tutto questo, il Signore dimostrò ancora una volta la sua generosità, ordinando che Israele tornasse indietro, verso il mar Rosso. . . quello era l’unico percorso ancora sicuro. — Patriarchs and Prophets, 390, 391
Le preghiere di Mosè risparmiano gli israeliti dal giudizio di Dio — Il popolo, guardando quell’uomo canuto, che ben presto li avrebbe lasciati, lo vide sotto una nuova luce e apprezzò le tenere attenzioni, i saggi consigli e il lavoro instancabile di Mosè. Quante volte, quando i peccati del popolo avevano provocato la giusta condanna divina, le preghiere di Mosè lo avevano risparmiato! Ma ora il dolore degli israeliti era reso più acuto dal rimorso. Ricordavano con amarezza che era stata la loro costante ribellione a indurre Mosè a commettere quel peccato, per cui doveva morire. — Patriarchs and Prophets, 470
La preghiera finale di Mosè soddisfatta sul monte della trasfigurazione — Prima del sacrificio del Cristo, nulla illustrava in maniera più eloquente la giustizia e l’amore di Dio della vita di Mosè. Dio impedì a Mosè di entrare in Canaan per insegnare una lezione, che non dovremmo mai dimenticare; il Creatore richiede un’ubbidienza rigorosa e gli uomini devono stare attenti a non attribuirsi la gloria, dovuta solo a Lui. Pur non potendo esaudire la preghiera di Mosè, permettendogli di condividere l’eredità d’Israele, l’Eterno non dimenticò né abbandonò il suo servo. Il Dio dei cieli conosceva le sofferenze che Mosè aveva provato; aveva notato il servizio fedele, compiuto in quei lunghi anni di lotta e di prove, e sulla cima del monte Pisga chiamò Mosè a un’eredità infinitamente più gloriosa di quella della Canaan terrena. Mosè fu presente insieme a Elia, il profeta che era stato traslato, sul monte della trasfigurazione, per portare al Figlio la luce e la gloria del Padre. Così si adempì la preghiera di Mosè, pronunciata tanti secoli prima. Egli rimase sulla buona montagna, all’interno della terra del suo popolo, per offrire una testimonianza di colui, sul quale si fondavano tutte le speranze d’Israele. Questo è l’ultimo episodio della storia di un uomo così onorato dal cielo. — Patriarchs and Prophets, 479
Fate l'amore, non la guerra.
Lavorare tutti, lavorare meno.