Osservando questa sequenza si ha un'impressione di disordine, tipo aprire la scatola del "magari, poi potrebbe servire "? Ma anche no, come un tormentone di moda. La complessità infinita di spire e dettagli auto-simili è la rappresentazione grafico-visiva visiva di una legge rigorosa, espressa da una formulina semplice semplice.
E' l'insieme di Mandelbrot.
mandelbrot.jpg
Nasce attraverso un processo iterativo estremamente semplice: per ogni punto "c" nel piano complesso, si calcola il comportamento della sequenza, partendo da z=0 .E tutto dipende dai valori di "c". Le condizioni iniziali
Non c’è alcuna aleatorietà, nessun elemento imprevedibile nel senso comune del termine. Nessuno che butti i dadi a casaccio.
Questa é la base della "teoria del caos "
La prova che il linguaggio comune rischia di generare confusione. Quando si parla di “caos” nella vita quotidiana, si allude a disordine, imprevedibilità assoluta, o peggio ancora a un’assenza di regole. Il casinbordello.
Non nella matematica ( e fisica) del "caos ". Parlare di “disordine” o “bordello” in questo contesto è più che una metafora: è una scorciatoia mentale che ostacola la comprensione del fenomeno. Si tratta, in altre parole, di un antropomorfismo linguistico che attribuisce qualità umane o sociali a strutture matematiche prive di intenzionalità.
L’uso inconsapevole di termini antropici nelle scienze può portare a gravi malintesi, soprattutto per chi si avvicina per la prima volta a concetti complessi. Dire che l’insieme di Mandelbrot è “confuso” o “disordinato” implica un giudizio di valore umano, mentre ciò che vediamo è in realtà una struttura profonda generata da una regola banale....che necessita di ben precise "condizioni iniziali" per essere definita.
Un ordine rigorosissimo, se mai ne possa esistere uno.
In conclusione, la figura di Mandelbrot non rappresenta il caos nel senso colloquiale, ma la legge del caos nel senso tecnico: un ordine nascosto, complesso, ma pienamente determinato. Comprendere questo significa anche riflettere criticamente sul linguaggio che usiamo per parlare di scienza. Non è solo una questione di parole: è una questione di pensiero.
E, forse, di orgoglio umano: si ha vergogna di dichiarare la propria "ignoranza"