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Discussione: La preghiera.

  1. #136
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  2. #137
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    Sotto stress, la preghiera di Mosè diventa quasi un lamento — Così gli israeliti espressero la loro insoddisfazione per il cibo che il Signore offriva. Parole come queste erano ingiuste, anche perché tutti erano testimoni del fatto che, nonostante le difficoltà quotidiane, non vi era un solo malato in Israele: la manna era davvero un alimento adeguato alle loro necessità. Ascoltando quelle proteste, Mosè provò un profondo scoraggiamento. Aveva implorato Dio di non distruggere Israele, perché potesse diventare una grande nazione. Amava quella gente a tal punto che aveva pregato il Signore di salvarli, anche se avesse dovuto rinunciare alla sua salvezza eterna. Aveva rischiato tutto, per amore del suo popolo: questa era la ricompensa. Mosè sentiva personalmente il peso di quelle accuse: era considerato responsabile di tutte le loro difficoltà, perfino di quelle immaginarie. Certo, si trattava di proteste suggerite dalla cattiveria, ma esse rendevano ancora più opprimente il peso delle preoccupazioni e delle responsabilità, che già lo faceva vacillare. In quel momento critico fu tentato di perdere la sua fiducia in Dio. Si rivolse a lui quasi con un lamento: «... Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho io trovato grazia agli occhi tuoi, che tu m’abbia messo addosso il carico di tutto questo popolo? ... Donde avrei io della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro a me, dicendo: Dacci da mangiare della carne! Io non posso, da me solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me». Il Signore ascoltò la sua preghiera e gli suggerì di scegliere settanta uomini tra gli anziani d’Israele. Il loro requisito più importante non era tuttavia l’età: dovevano essere innanzi tutto persone autorevoli, piene di dignità ed esperienza, dotate di una solida capacità di giudizio. «... Conducili alla tenda di convegno» gli disse «e vi si presentino con te. Io scenderò e parlerò quivi teco; prenderò dello spirito che è su te e lo metterò su loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo”. — Patriarchs and Prophets, 379, 380
    Mosè invoca misericordia per Israele — Mosè si alzò ed entrò nel santuario. Il Signore dichiarò: Io lo colpirò con la peste, e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente. (V.12) Ma ancora una volta Mosè decise di intercedere per Israele: non poteva permettere la distruzione del suo popolo, anche se sarebbe potuto diventare il capostipite di una nazione più potente. Appellandosi alla bontà del suo Creatore, disse: "Si mostri, ti prego, la potenza del Signore nella Sua grandezza, come tu hai promesso dicendo. . . l’Eterno è lento all’ira e grande in benignità. . . Deh, perdona l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua benignità, nel modo che hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui." (vv.17-19) Dio promise di non distruggere immediatamente gli Israeliti, tuttavia, a causa della loro vita e del loro ostinato scetticismo di fronte agli interventi divini, non li avrebbe più aiutati a sconfiggere i nemici. Nonostante tutto questo, il Signore dimostrò ancora una volta la sua generosità, ordinando che Israele tornasse indietro, verso il mar Rosso. . . quello era l’unico percorso ancora sicuro. — Patriarchs and Prophets, 390, 391
    Le preghiere di Mosè risparmiano gli israeliti dal giudizio di Dio — Il popolo, guardando quell’uomo canuto, che ben presto li avrebbe lasciati, lo vide sotto una nuova luce e apprezzò le tenere attenzioni, i saggi consigli e il lavoro instancabile di Mosè. Quante volte, quando i peccati del popolo avevano provocato la giusta condanna divina, le preghiere di Mosè lo avevano risparmiato! Ma ora il dolore degli israeliti era reso più acuto dal rimorso. Ricordavano con amarezza che era stata la loro costante ribellione a indurre Mosè a commettere quel peccato, per cui doveva morire. — Patriarchs and Prophets, 470
    La preghiera finale di Mosè soddisfatta sul monte della trasfigurazione — Prima del sacrificio del Cristo, nulla illustrava in maniera più eloquente la giustizia e l’amore di Dio della vita di Mosè. Dio impedì a Mosè di entrare in Canaan per insegnare una lezione, che non dovremmo mai dimenticare; il Creatore richiede un’ubbidienza rigorosa e gli uomini devono stare attenti a non attribuirsi la gloria, dovuta solo a Lui. Pur non potendo esaudire la preghiera di Mosè, permettendogli di condividere l’eredità d’Israele, l’Eterno non dimenticò né abbandonò il suo servo. Il Dio dei cieli conosceva le sofferenze che Mosè aveva provato; aveva notato il servizio fedele, compiuto in quei lunghi anni di lotta e di prove, e sulla cima del monte Pisga chiamò Mosè a un’eredità infinitamente più gloriosa di quella della Canaan terrena. Mosè fu presente insieme a Elia, il profeta che era stato traslato, sul monte della trasfigurazione, per portare al Figlio la luce e la gloria del Padre. Così si adempì la preghiera di Mosè, pronunciata tanti secoli prima. Egli rimase sulla buona montagna, all’interno della terra del suo popolo, per offrire una testimonianza di colui, sul quale si fondavano tutte le speranze d’Israele. Questo è l’ultimo episodio della storia di un uomo così onorato dal cielo. — Patriarchs and Prophets, 479
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  3. #138
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    Anna - L’esempio di Anna è per incoraggiare ogni madre — Anna tornò tranquillamente verso la sua casa a Rama, lasciando a Sciloh il piccolo Samuele, affinché sotto la guida del sommo sacerdote fosse iniziato al servizio del santuario. Ella aveva insegnato al figlio ad amare, rispettare Dio e consacrarsi a lui, sin da quando il piccolo aveva cominciato a capire. Si era servita di qualsiasi oggetto che lo circondasse, per dirigere i pensieri del bambino verso il Creatore. Le cure di questa madre fedele non cessarono, neanche quando essa si separò dal suo piccolo. Ogni giorno pregava per lui; ogni anno con le sue mani gli cuciva una tunica che, quando si recava a Sciloh con suo marito per l’adorazione, donava al bambino come segno del suo affetto. Ogni fibra della piccola veste era intessuta con la preghiera che egli potesse essere puro, nobile e leale. Non chiedeva onori terreni per il figlio, ma che egli potesse raggiungere quella grandezza che ha valore per il cielo, cioè che egli potesse onorare Dio e benedire i suoi simili. La ricompensa di Anna fu grande, come è grande l’incoraggiamento alla fede che deriva dal suo esempio. A ogni madre vengono offerte grandi opportunità e affidati interessi infinitamente preziosi. Gli umili doveri della donna, ritenuti un’incombenza noiosa, devono essere considerati un’opera grande e nobile. Ogni madre ha il privilegio di influire positivamente sulla società, attraverso il suo esempio, e può rallegrarsene. Ella educherà i propri figli affinché seguano, nella buona e nell’avversa fortuna, la via giusta, adempiendo gli obiettivi divini. Ma potrà sperare di formare il carattere dei figli, secondo la volontà di Dio, solo se nella sua vita cercherà di seguire gli insegnamenti del Cristo. La società condiziona negativamente, tramite le mode, che esercitano un forte influsso sui giovani. Se la madre non adempie il suo dovere, che consiste nell’istruire, guidare e disciplinare, i figli accetteranno naturalmente il male. Ogni madre si rivolga al Salvatore con la preghiera di Manoah: “Qual norma si avrà da seguire per il bambino? E che si dovrà fare per lui?” (Giudici 13:12) Esse dovranno seguire le istruzioni che Dio ha dato nella sua Parola, per ricevere la saggezza necessaria. — Patriarchs and Prophets, 572, 573
    Anna era una donna di preghiera — Anna non rimproverò il marito per il suo secondo matrimonio. Essa, non potendo condividere con nessuno il suo dolore, si rivolse al Padre celeste e solo in Lui cercò consolazione. La risposta del Padre celeste fu: “Invocami nel giorno dell’avversità, io ti libererò e tu mi glorificherai.” (Salmo 50:15) C’è una potenza straordinaria nella preghiera. Il nostro avversario cerca costantemente di allontanare la nostra anima tribolata da Dio. Satana teme di più un umile santo che prega di qualunque decreto, rilasciato da un governante o perfino da un re. Le preghiere di Anna erano inudibili alle orecchie dei mortali, ma erano udibili alle orecchie del Signore degli eserciti. Ella supplicò ferventemente Dio che le togliesse il suo affronto e le concedesse la benedizione e il privilegio di diventare madre, nonostante l’età avanzata. Ma nonostante l’ardente supplica, non ricevette alcuna risposta. . . tuttavia, le sue labbra continuavano a muoversi e il suo volto esprimeva una profonda emozione. Ed ora, una prova ben maggiore attendeva l’umile supplicante. Quando il sommo sacerdote vide Anna in quello stato, si avvicinò a lei credendo che fosse ubriaca. Le orge dei banchetti avevano quasi soppiantato la vera pietà nel popolo israelita. Perfino le donne frequentemente erano vittime dell’intemperanza. E ora Eli, vedendo Anna in quello stato e pensando che fosse ubriaca, risolse di ricorrere a quello che egli considerava un rimprovero meritato. Egli disse: “Fino a quando sarai ubriaca? Smaltisci il tuo vino!” (1 Samuele 1:14) Anna, invece, era stata in comunione con Dio e credendo che la sua preghiera fosse stata esaudita, il suo cuore si era riempito di pace. Poiché la sua natura era sensibile e dolce, non s’indignò per l’ingiusta accusa di essersi ubriacata nella casa di Dio. Col dovuto rispetto per l’Unto del Signore, respinse tranquillamente l’accusa, dichiarando di essersi trovata in quello stato a causa dell’emozione. “Non considerare la tua serva una donna perversa, perché è l’eccesso del mio dolore e della mia afflizione che mi ha fatto parlare finora.” (1 Samuele 1:16) Allora Eli le rispose: «Va in pace e il DIO d’Israele ti conceda ciò che gli hai richiesto». (1 Samuele 1:17)
    Nella sua preghiera Anna aveva fatto un voto: se la sua richiesta fosse stata accolta, avrebbe dedicato il suo bambino al servizio di Dio. Ella fece conoscere questo voto al marito e prima di partire da Shiloh, anche lui confermò questo patto, come un atto solenne di adorazione al Signore. La preghiera di Anna ebbe una risposta ed essa ricevette il dono, per il quale aveva pregato così ferventemente, infatti partorì un figlio e lo chiamò Samuele, che significa: “domandato a Dio”. — Signs of the Times, October 27, 1881
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  4. #139
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    L'episodio di Anna è stupendo! Uno dei più belli dell'intera Bibbia.
    amate i vostri nemici

  5. #140
    Opinionista L'avatar di Arcobaleno
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    Elia - Elia pregava per il pentimento di Israele — Sui monti di Galaad, a oriente del fiume Giordano, al tempo del re Acab, abitava un uomo devoto e fedele, che avrebbe agito coraggiosamente per arginare la dilagante apostasia d’Israele. Pur vivendo lontano da ogni città importante e senza avere nessuna posizione di rilievo, Elia di Tisbe accettò la missione affidatagli, fiducioso che Dio lo avrebbe guidato e gli avrebbe assicurato il successo. Egli pronunciava parole forti, che esprimevano la sua fede, e tutta la sua vita fu consacrata a un’opera di riforma. La sua era la voce di chi grida nel deserto, per condannare il peccato e opporsi all’ondata straripante del male. Pur presentandosi al popolo per rimproverarlo del peccato, trasmetteva anche un messaggio di speranza a tutti coloro che desideravano essere incoraggiati. Mentre Elia vedeva Israele sprofondare sempre più nell’idolatria, la sua anima si angosciava e sentiva crescere dentro di sé una profonda indignazione. Dio era intervenuto potentemente in favore del suo popolo: lo aveva liberato dalla schiavitù e gli aveva dato la terra di altri popoli. . . perché osservassero i suoi comandamenti e ubbidissero alla sua legge. (Salmo 105:44, 45) Ma gli obbiettivi dell’Eterno erano stati quasi dimenticati. L’incredulità stava rapidamente separando la nazione eletta dalla fonte della sua forza. Considerando questa apostasia, Elia, dall’alto del suo rifugio montano, si sentiva sopraffatto dal dolore. Con l’animo angosciato implorò Dio di frenare la malvagità del popolo e di punirlo, se fosse stato necessario, affinché orientasse diversamente la sua vita e fosse in grado di valutare il suo allontanamento da Dio. Elia desiderava ardentemente che Israele si ravvedesse, prima di sprofondare sempre più verso il basso, tanto da costringere il Signore a distruggerlo completamente. La preghiera di Elia fu esaudita. Ripetuti appelli, rimostranze e avvertimenti non avevano portato Israele al pentimento. Era perciò giunto il tempo in cui Dio doveva parlare agli israeliti, evidenziando le conseguenze dei loro errori. Siccome gli adoratori di Baal affermavano che i tesori del cielo — la rugiada e la pioggia — non venivano dall’Eterno, ma dalle forze che regolavano la natura, e che tramite l’energia creativa del sole la terra veniva arricchita e poteva produrre abbondanti raccolti, la maledizione di Dio doveva colpire il suolo contaminato. Alle tribù apostate d’Israele doveva essere dimostrata la follia di confidare nel potere di Baal, per ottenere vantaggi terreni. Fino a quando non si fossero pentiti, riconoscendo Dio come fonte di ogni benedizione, non ci sarebbe stata nel paese né rugiada né pioggia. — Prophets and Kings, 119, 120
    Il timore di Dio scarseggiava sempre più in Israele. La loro cieca idolatria offendeva il Signore sempre di più, e non c’era nessuno che avrebbe osato opporsi apertamente contro questo stato di cose. Oltre a Baal, adoravano il sole, la luna e le stelle. Avevano consacrato templi e boschi, in cui costruivano gli altari per il culto. I benefici che Dio dava al suo popolo non risvegliarono in loro la gratitudine verso il Donatore della vita. Ogni dono ricevuto dal cielo, come i ruscelli, i fiumi d’acqua viva, la dolce rugiada, la pioggia che nutriva i loro campi, era attribuito ai loro dei.
    L’anima di Elia era addolorata. La sua indignazione era grande. Egli era geloso della gloria che spettava solo a Dio. Vide che Israele era sprofondato in una spaventosa apostasia. Era sopraffatto e stupito dall’atteggiamento del popolo verso il Signore, mentre ricordava loro le grandi opere, che Egli aveva fatto. Ma tutto questo era stato dimenticato dalla maggior parte della gente. Elia, invece, continuava a camminare davanti a Dio con l’animo straziato dall’angoscia. Pregò, affinché Dio salvasse il Suo ingrato popolo, e se questi doveva essere castigato, privasse il paese della rugiada e della pioggia, i tesori del cielo, in modo che l’Israele apostata dimenticasse i suoi idoli d’oro, di legno e di pietra, il sole, la luna e le stelle, e tornasse a Lui pentito. E Dio udì la preghiera di Elia: avrebbe trattenuto la rugiada e la pioggia fino a quando il popolo non fosse tornato a Lui pentito. — Review and Herald, September 16, 1873
    Durante gli anni della siccità e della carestia, Elia pregò con fervore affinché gli israeliti abbandonassero gli idoli e si rivolgessero a Dio. Il profeta attendeva pazientemente questo risveglio, mentre l’Eterno colpiva la terra. Pensando alle sofferenze e alla miseria dei suoi compatrioti, provava un profondo dolore e avrebbe desiderato realizzare una rapida riforma fra gli idolatri. Ma Dio stesso attuò il suo piano: il profeta doveva soltanto perseverare nella preghiera e attendere il momento in cui sarebbe entrato coraggiosamente in azione. — Prophets and Kings, 133
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