Parlare oggi, qui, degli spaghetti aglio e olio è impresa che impone sobrietà accademica e rigore filologico.
Lungi dall’essere una mera pietanza, essi costituiscono un archetipo, una sineddoche (parola "de scena" quotidiana: check) alimentare della condizione umana civilizzata.
Cominciamo con l’ontologia (so' i saldi) dell’ingrediente.
Lo spaghetto, cilindro filiforme di semola (rigorosamente di grano duro), non è solo una struttura gastronomica, ma un segno di linearità ontologica: come diceva Totonno da Gragnano, storico della tradizione maccheronesca partenopea: “Lo spaghetto è la via retta dell’essere, cucinato nella curva della vita senza la frattura olistica (bis) dello zito”.
La pasta lunga rappresenta, infatti, la tensione tra finitudine e continuità, tra l’individuo e la storia.
All’aglio, invece, va riconosciuta la funzione di memoria ancestrale. Pianta bulbosa e divisibile, rimanda all’idea di molteplicità interna, di pluralità identitaria.
Come ha notato il filosofo etnobotanico etico Gennario Cicerchia-Pummarolis: “l’aglio è un popolo chiuso in una testa, e la sua natura pungente è emblema dell’umanità che non vuole dimenticare sé stessa, pur offendendo chi le sta accanto".
L’olio, infine, elemento lubrificante e spirituale, è l’amalgama della civiltà. Simbolo di unzione, di pace, di transito: nella letteratura come nelle religioni, l’olio extravergine attraversa la storia come “mediologia del sacro” .
La simbiosi fra questi elementi, pasta, aglio, olio, è dunque un atto performativo dell’umano: essi non competono, non si sovrastano, non cercano gerarchie. L’aglio non impone la sua forza senza la gentilezza untuosa dell’olio. L’olio non scivola via se non trattenuto dalla trama rugosa dello spaghetto al dente.
E qui entra in gioco la civiltà. Lo spaghetti aglio e olio è il piatto minimo e necessario. Nasce povero, ma non miserabile; si offre veloce, ma non frettoloso; è ripetibile, ma mai uguale.
La Civiltà, in fondo, è questa: "ripetizione differente dell’essenziale", secondo la felice definizione di Domitilla Capperoni-Limoncello nella sua "Fenomenologia della Forchetta" (2011).
Se il risotto è concertazione e l’arrosto è potere, l’aglio e olio è democrazia. Nessuno comanda. Nessuno primeggia. Eppure, ogni boccone contiene una storia.
Come scrisse il poeta friulano originario di Bitonto, Pasquale Frisellaro di Trullimare :“Chi non sa cucinare aglio e olio, non sa stare in società.”
In tempi di crisi globali, pandemie, tecnologie disumanizzanti, ricordiamoci di cosa siamo capaci con un solo spicchio d’aglio, un filo d’olio e dell’acqua bollente.
Questa è l’epifania laica del quotidiano.
E non è forse vero che, nella notte dei tempi, proprio mentre l’uomo scopriva il fuoco e il grano, una donna sconosciuta schiacciava un bulbo e ne faceva soffritto?
Conclusione: Spaghetti aglio e olio non è una ricetta.
È un contratto sociale ontogastronomico.