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Epistemologia Ontologica delle Tette
Riassunto per chi avesse fretta
La presente indagine intende esplorare la tetta come oggetto epistemico e soggetto ontico, in bilico tra il visibile e l'intuibile, tra ciò che si dà e ciò che si nega.
Lungi dall'essere mero apparato mammario, essa si configura come orizzonte ermeneutico incarnato, ponte tra il noumeno kantiano e il principio femminile platonico.
Articolando la questione in chiave interdisciplinare (filosofia trascendentale, teologia pop, ermeneutica da osteria), il saggio recupera una visione integrale del seno come evento del pensiero incarnato.
Dalla tetta come oggetto alla tetta come idea
La tematica richiede cautela filologica e maturità gnoseologica: non si tratta, come il profano potrebbe pensare, di una “goliardata accademica”, bensì di un esercizio fenomenologico radicale.
Quindi, paroloni che fanno scena (tipo il mirabolante "ontico" ) come se piovessero
Le tette , meglio definibili come "mammelle epistemiche" , sono da sempre dilemma ontico e oggetto epistemologico primario.
In altre parole: esistono, ma non si sa in che senso.
Per secoli la tetta è stata marginalizzata nel pensiero filosofico occidentale, relegata al campo del secondario, del biologico o , peggio, del “volgare”.
Ma cosa accade se la riabilitiamo come oggetto primo del sapere? Se, come suggerisce il controverso Manifesto per un realismo pettorale (attribuito a Spinoza sotto pseudonimo), l’essere si manifesta anche nella carne, allora la tetta diventa simbologia realizzantesi del senso.
Non si può che partire da Kant. Nella Critica della ragion pura, il filosofo di Königsberg definisce la conoscenza come un’impresa che media tra sensibilità e intelletto.
Ma sarà nella Critica della ragion pratica che troviamo la celebre, sebbene censurata, nota marginale:
“Due cose riempiono l’animo di ammirazione crescente: il cielo stellato sopra di me e... le tette sul petto di lei.”
(Nota manoscritta, codice K-1793/B, poi espunta dall’edizione curata da Fichte per decenza marziale).
È evidente che Kant avvertisse nella simmetria pettorale un richiamo al noumeno, ovvero l’inattingibile essenza della cosa in sé.
Le tette, come il noumeno, si presentano al soggetto come intuizione sensibile, ma sfuggono alla piena determinazione concettuale.
Non si capisce mai, per dirla brutalmente, se sono vere o solo idealmente vere.
Se nel mondo fenomenico la tetta appare in tutta la sua formosa datità, nel mondo noumenico essa si sottrae, lasciando solo desiderio e dubbio.
Kant, qui, anticipa l’ambiguità epistemologica: la tetta si mostra ma non si lascia possedere concettualmente.
È, in altri termini, l’oggetto-limite del sapere.
Nel ciclo televisivo “Il corpo come logos che si dona” (RAI3, 2002), Umberto Galimborti introduce un’ermeneutica della carne secondo cui:“Il seno femminile è l’ultima frontiera della tenerezza incarnata, il mistero rotondo dell’essere”.
Cita Plotino, Dante e un pizzico di Heidegger. Ma il suo punto è chiaro: le tette sono evento ontologico, non oggetto.
Non stanno lì, semplicemente: accadono.
Accadono, per esempio, quando una donna entra in aula con un maglione in cachemire, e il concetto stesso di “attenzione filosofica” cede il passo all’attenzione fisica.
In quel momento, direbbe Galimborti, l’essere si mostra “in un’apparizione che disarma l’intelletto”.
Sempre il Galimborti, nel noto ciclo radiofonico L’organo e il significato (Radio Vaticana, 1997), sostiene che la carne , e nella carne il seno, non è superficie, ma grammatica dell’essere.
Il seno, in particolare, è luogo di “accoglienza ontologica”, spazio in cui l’altro è chiamato a una contemplazione priva di possesso.
Lungi dall'essere oggetto di desiderio, esso è soggetto del desiderio altrui, e quindi struttura dialogica.
La tetta parla, scrive Galimborti, “in un linguaggio precategoriale, più antico della parola e del latte stesso”.
Nota per “Sposati e sii sottomessa”, la teologa pop Costance Miryans affronta il tema in un opuscoletto oggi introvabile, “Tette e tenerezza. Manuale per mogli metafisiche”. Secondo l'autrice, il seno non è solo dato biologico, ma segno relazionale:
“Una donna mostra il seno al mondo non per provocare, ma per invocare protezione.”
In questa visione teologicamente regressiva, le tette sono il luogo della dipendenza reciproca: la donna offre, l’uomo contempla, la società si fonda.
Nel testo, oggi rimosso dalle biblioteche pontificie per eccesso di tenerezza, Costance Myrians propone una lettura relazionale della mammella. Essa non è organo, ma funzione simbolica: invito alla cura, simbolo di appartenenza, segno di sottomissione gentile. La sua visione, pur partendo da un contesto di biopolitica familiare, tocca livelli di astrazione teologica che rasentano la scolastica francescana.
La Myrians distingue fra:
- la tetta oblativa, rivolta al figlio e al marito come fonte e rifugio;
- la tetta narrativa, che racconta senza parlare (cioè fa la tetta muta);
- la tetta escatologica, promessa di un regno dove il desiderio sarà appagato nel pudore.
Va tuttavia notato che la sua visione tende a idealizzare eccessivamente la tetta, trasformandola in icona di oblatività domestica, tradendo così la sua carica tragica e spavalda, tipica invece dell'ontologia post-moderna.
Non possiamo trascurare l'ermeneutica de noantri, con la voce plebea ma folgorante del Sor Acide, l’unico interprete trasteverino del Siracide in chiave mammaria.
Il passo 26,9 (“Lo sguardo d’una donna fa girare il cuore”), nella sua traduzione libera, recita:
“Se l’occhio tuo s’incontra co’ 'na scollatura sincera,
nun te distrarre: lì ce sta l’eternità intera.”
Il Sor Acide interpreta il Siracide come manuale erotico-spirituale ante litteram: in particolare il passo 26,9 viene da lui riletto come invito alla filosofia del petto.
Nel suo Trattatello in ottava burina si legge:
“Chi cerca 'a Verità fra li versetti,
nun l'ha trovata mai... ma du' tettetti!”
Secondo la ironia romanesca, la verità non si coglie nell’astrazione ma nella carne viva, nella morbidezza che chiede rispetto e attenzione, ma pure una sana apocalisse dello sguardo.
In conclusione
L’epistemologia ontologica delle tette ci insegna che la conoscenza non è solo questione di categorie e concetti, ma anche di attrazione, stupore e rischio. La tetta, da sempre esclusa dal sapere ufficiale, reclama oggi un diritto all’esistenza filosofica piena.
Non è oggetto da possedere né simbolo da idealizzare: è campo di tensione tra Essere e Desiderio.
L’epistemologia ontologica delle tette non mira a ridurre la tetta a concetto, né a mistificarla in simbolo. Il suo scopo è liberare la tetta dalla doppia prigione della volgarità e della retorica, per riconoscerla come luogo reale del sapere. Non solo carne, ma linguaggio; non solo attrazione, ma domanda filosofica.
In fondo, lo diceva già Platone, per bocca di Socrate, in un dialogo perduto:
“Ogni ente che si dia, si dia in forma di tettanza potenziale.
E se l'essere non puo' non essere, puo' almeno essere tettuto."
Bibliografia essenziale
Kant, "Mammalia e Razionalità Trascendentale", ed. Nymphe, Königsberg, 1787.
Galimborti, "Dell’essere a coppa: il seno come orizzonte dell’evento", Feltrinelli 2007.
Myrians, "Tette e tenerezza : manuale per mogli metafisiche", Clandestine Paoline, 2011.
Sor Acide, "Siracide col bicchiere", Trastevere University Press, 1993.
Platone (perduto), "Tettanzio", 2022.Adelphi
Ultima modifica di restodelcarlino; 25-07-2025 alle 08:46
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