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Discussione: La fama e la serendipity

  1. #1
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    La fama e la serendipity

    Lo scrittore e critico letterario inglese Samuel J. Johnson (1709 – 1784), diceva che la fama duratura è una cosa complicata. Per definirla usava il sostantivo “bolla”, parola molto diffusa oggi nell’ambito economico-finanziario. Johnson metteva in guardia contro le “bolle di fama artificiale”, che vengono tenute in vita per un po’ da un soffio di moda, da un’ondata di entusiasmo collettivo, e poi scoppiano di colpo e sono ridotte a nulla”.

    E’ vero, la fama viene nutrita da grandi entusiasmi, da “cascate informative” che si alimentano a vicenda, però, se alla base c’è un’opera di scarsa qualità, le bolle possono scoppiare.

    Con “cascata informativa” s’intende l’amplificazione di messaggi, di comunicati da parte dei network sociali (anche reti di familiari, parenti e amici) che, per esempio, ci inducono a leggere un libro o a vedere un film sulla base di informazioni o azioni di altri.

    Comunque, la fama a lungo termine deve moltissimo ai convinti sostenitori di un talento, dalle dinamiche sociali e culturali che rendono noto un individuo.

    La fama ha molto a che fare con la “serendipity”: questo termine inglese indica le scoperte casuali, trovare una cosa non cercata.

    La parola “serendipity” fu coniata dal nobile e scrittore inglese Horace Walpole nel XVIII secolo. La usò in una lettera scritta il 28 gennaio 1754 a Horace Mann, un suo amico inglese che viveva a Firenze, per significare una fortunata scoperta non pianificata.

    Lo scrittore Horace Walpole, IV conte di Orford (1717 – 1797) è considerato il fondatore della letteratura gotica: storie d’amore e di terrore ambientate nel Medioevo.

    La natura dell’effetto rete sociale, se riesce, amplifica il numero di quelli che aderiscono e così si arriva alla fama, che non sempre nasce da un talento particolare.

    La differenza tra fama e successo. I social media sono molto importanti per suscitare negli altri la sensazione che intorno a un romanzo o a una canzone ci sia tanto entusiasmo, suscitando un effetto “cascata”. Si chiama “accelerazione di fama”. Non siamo consapevoli di partecipare all’amplificazione della celebrità di un individuo. Spesso non sappiamo se stiamo seguendo un effetto “cascata”, cioè se le persone che prima di noi hanno dimostrato entusiasmo per un libro o un film e che noi stiamo seguendo, siano a loro volta dentro un effetto “cascata” e non, invece, saldi in un giudizio di valore indipendente. Il messaggio, o l’entusiasmo, si rafforza con il coinvolgimento di altre persone.

    E se alla fine ci ritroviamo con un libro acquistato sull’onda dell’entusiasmo collettivo, ma che poi ci delude nella lettura, la “bolla” può scoppiare.
    Un conto è acquistare un libro o ascoltare un brano, un altro è amare quel libro o quella canzone. E’ una incognita. Potremmo amarlo, ma anche cambiare opinione e disprezzarlo.

    Una ricerca italiana condotta dai docenti universitari Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.

    Se ci chiediamo perché alcuni personaggi hanno raggiunto il successo, senza avere talenti particolari, bisogna ricordare che anche noi stessi siamo parte di questo “effetto-popolarità”, più o meno consapevolmente.

    Per chi vuol saperne di più c’è il libro di Cass R. Sunstein, titolato: “Come diventare famosi. La scienza segreta del successo” (edit. Raffaello Cortina, pagine 264, euro 22)

  2. #2
    Citazione Originariamente Scritto da doxa Visualizza Messaggio

    Una ricerca italiana condotta dai docenti universitari Michela Ponzo e Vincenzo Scoppa ha rilevato che nel periodo successivo alla scomparsa di un autore la probabilità che i suoi libri diventino bestseller aumenta molto, dipende dal battage pubblicitario.

    Vuoi dire che post-mortem, i copincolla di testi di Costanza Miriano saranno presenti/obbligatori in ogni post?

  3. #3
    Serendipity

    La serendipity (o meglio, serendecetera), per precisare quello che dice Doxa, è quell’effetto collaterale positivo di una missione fallita, l’arte nobile del trovare altro e far finta che fosse quello il piano .
    Ma, in pratica, che 'vvo'rdi' ?

    Secondo il mio schema esistenziale, ogni giornata dovrebbe cominciare con logica sequenziale: sveglia-toilette-caffè-realtà. Eppure, a ogni iterazione, qualcosa devia. Sempre. Ed è lì, nell’interferenza, che vive la serendecetera: quell’imprevisto che non solo non cercavi, ma che avevi escluso a priori per non perdere tempo.

    Stamattina cercavo le ciabatte sotto al letto, ed ho trovato una vecchia moneta da cinquanta lire col Vesuvio sul verso. Non vale nulla, ma m’ha ricordato mio nonno e il suo caffè fatto con la cuccuma, che impiegava trentasette minuti e mezzo per "passare".
    Anche io, quindi ho preparato il caffè con la cuccuma.
    Cercandola, avendola smarrita nel continuum entropico-spaziale della credenza, ho trovato un foglietto con una frase di Spinoza scritta da me in un momento di delirio organizzato: “L’ordine è solo l’illusione del controllo su un sistema caotico abbastanza cortese da non esplodere subito.”
    Alla fin fine, poi, ho scoperto il paradosso della tazzulella di Schrödinger: finché non l’assaggi, il caffè è sia buono che bruciato. E a volte, entrambe le cose.

    E lì ho capito che la serendecetera non è il contrario del metodo, ma la sua nemesi creativa che
    si manifesta nei piccoli inciampi: trovi un vecchio libro con dentro una dedica, perdi il treno ma incontri qualcuno alla stazione, sbagli tasto e chiami l’unica persona che dovevi sentire.
    L’universo, con la sua ironia quantistica, ti osserva e ride. Effetto osservatore: tu cerchi certezze, lui ti lancia coincidenze.

    È la scienza dell’inutile che ti salva l’umore. Perché forse la felicità non è un obiettivo, ma un sottoprodotto dell’errore. Un artefatto poetico dell’imprecisione. Una curva morbida nel grafico rigido del vivere. È l’ingegneria delle coincidenze che il destino progetta mentre tu compili la lista della spesa (mica male , questi aforismi senza senso domenicali, vero? "Suonano" bene )

    Conclusione:
    Serendecetera, mia cara: sei impronunciabbbbile, ma funzioni : io non so dove sto andando, ma ogni tanto ci arrivo.

  4. #4
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    "serendecetera", questo succede quando vogliono per forza tradurre una parola nella lingua italiana.

    Buon pomeriggio Carlino,

    forse stai pensando che fratel Cono, sale della vita, luce del mondo e leader di questo forum stia in quel di Viareggio, invece no, vestito da boy scout si è intrufolato nel “Giubileo dei giovani” e oggi, cantando, è venuto a trovarmi con un gruppo di adolescenti per avere ospitalità all’ora di pranzo.

    L’ho esaudito e fra poco ripartono. Finalmente !

    Ovviamente scherzo. Cono de’ Conibus non so dove sia. Forse in un convento di suore per usufruire con la sua famiglia dell’ospitalità religiosa. Lo immagino mentre legge i libri di Costanza Miriano, che segretamente ama.

    Invece a te, Carlino, dedico questo post per meriti speciali: hai la pazienza di leggere ciò che scrivo.

    Torno alla fama per dire che nell’antica Grecia per definirla usavano le parole “kléos” e “pheme”.

    “kléos” deriva dal verbo greco “kaléo”, che significa “chiamo” o “dico”, ma allude anche alla fama che si diffonde nel tempo e nello spazio tramite la poesia epica o i poemi epici (es. Iliade, l’Odissea). In questi il Kleos è uno status a cui ambisce il guerriero per essere ricordato dopo la morte.

    La parola Kléos era collegata ad un’altra: Klyo (= ascoltare), il cui significato implicito è nell’espressione: “ciò che gli altri odono di te”.




    Dall’antico verbo greco “phemi” (che significa parlare) deriva phēmē: “colei che inizia la comunicazione”. Indica la connessione tra l'atto del parlare e la fama o reputazione che ne deriva. Ciò che si dice influenza la percezione dell’ascoltatore e il modo in cui le storie vengono condivise.

    Nell'arte era di solito raffigurata con le ali e la tromba.


    Robert Eduard Henze, Pheme, scultura bronzea sul tetto dell’Università delle Arti Visive, Dresda (Germania)
    Ultima modifica di doxa; 03-08-2025 alle 18:03

  5. #5
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  6. #6
    Citazione Originariamente Scritto da doxa Visualizza Messaggio

    Torno alla fama per dire che nell’antica Grecia per definirla usavano le parole “kléos” e “pheme”.
    Ed io rilancio con ricordi ginnasiali, di Virgilio (classica Eneide di Annibal Caro):

    "È questa fama un mal, di cui null’altro
    È più veloce; e com’ più va, più cresce,
    E maggior forza acquista. È da principio
    Picciola e debbil cosa, e non s’arrischia
    Di palesarsi; poi di mano in mano

    Si discuopre e s’avanza, e sopra terra
    Sèn va movendo e sormontando a l’aura,
    Tanto che ’l capo infra le nubi asconde.

    Dai, approfittando dell'assenza congiunta della Ultrix e del Cappellano, stiamo "nobilitando" la sezione "Cazzeggio"...facendo scappare i pochi supestiti non-vacanzieri del forum
    Pero'

    Strana coincidenza...spariscono in contemporanea una mantide irreligiosa notoria (per una scampagnata abitualmente penitenziale), ed un monaco savonaroliano con missione di redenzione-a-viva-forza-di-pecorelle-smarrite....

    Come diceva.. il gobbo più dritto d'Italia?.. "A pensa' male si fa peccato, pero' spesso ci si azzecca"?
    Vassapé

  7. #7
    Cosmo-Agonica L'avatar di Bauxite
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    Forse essere il figlio di Robert Walpole scaturì più facilmente il senso di una inaspettata scoperte o fortuna in chi coniò, si dice, questo termine.
    Forse essere in grado di ingaggiare architetti e ispirarsi a Piranesi per ricreare in stile moooolto gotico una dimora, poté dargli l'ispirazione per una inaspettata e fortunata riuscita!
    Chissà!

    Tra i due, Johnson ci sarebbe stato di grande supporto in questa poco ispirata attualità.

    “Quasi tutte le assurdità del comportamento derivano dall'imitazione di coloro a cui non possiamo somigliare.”

  8. #8
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    Carlino mi hai fatto molto ridere con la tua osservazione sulla contemporanea assenza dal forum della Ultrix e del cappellano senza cappello e senza stola.

    Chissà dove saranno

    Ed ora torniamo al lavoro…

    Nella mitologia di epoca romana la “Fama” (dal latino “fari”, = parlare) era una divinità annunciatrice e messaggera di Giove. Immaginata come la personificazione della parola alata. Aveva le ali cosparse di occhi, di bocche e di lingue, raffigurata nell’atto di suonare una tromba, oppure due: una per la verità, l'altra per la menzogna.

    Fama incarna il potere che ha la parola umana di propagare una versione della realtà, passando anche all’infamia.

    Rappresenta allegoricamente le dicerie che nascono, si diffondono, acquistano credibilità, non fanno distinzione tra vero e falso, amplificano e distorcono i fatti.

    La fama è citata da Virgilio nell’Eneide (libro IV, 173-190); ampliata da Ovidio nelle “Metamorfosi” (12, 39-63).

    E’ una storia d'amore tragica che si svolge a Cartagine, dove Enea approda dopo una tempesta.

    La regina Didone accoglie Enea e i suoi compagni troiani, offrendo loro rifugio e ospitalità.

    Tra i due nasce un rapporto amoroso, alimentato da Venere e Giunone per motivi diversi: la prima per proteggere il figlio, la seconda per distrarlo dalla sua missione.

    Didone dimentica il voto di fedeltà al marito defunto Sicheo e trascura i suoi doveri di regina.

    I due “brindano ad Eros” in una grotta è presente Cupido tra i due.



    La Fama, personificazione della Diceria, racconta in maniera distorta ai Cartaginesi la relazione amorosa della loro regina, relazione che poi si trasforma in tragedia quando Enea per adempiere al suo destino, è costretto ad abbandonare Didone.

    La partenza di Enea, annunciata da Mercurio, fa disperare la donna, che si suicida.

    Nella mitologia e nella letteratura di epoca romana la Fama rappresenta il potere della comunicazione. Può indurre la gloria facendo sapere le gesta eroiche degli individui, oppure può diffondere pettegolezzi e menzogne, danneggiando la reputazione degli individui.
    Ultima modifica di doxa; Ieri alle 08:53

  9. #9
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    Nell’Antico Testamento la fama è quella connessa a Dio, descritto come il creatore dell'universo, l'Onnipotente, il Re dei Re e il Signore dei Signori.

    La fama è considerata un dono che Dio elargisce a coloro che lo amano, come alcuni personaggi dell'Antico Testamento: Abramo, Mosè, Davide e Salomone, furono considerati famosi. La loro fama non derivava dall’ambizione personale, ma dalla loro fedeltà a Dio e dal loro servizio in favore del popolo.

    Dal secondo libro di Samuele si apprende che la fama favorì Davide, re di Giuda e di Israele:

    “Vennero allora tutte le tribù d'Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: "Ecco noi siamo tue ossa e tua carne. Già prima, quando regnava Saul su di noi, tu conducevi e riconducevi Israele. Il Signore ti ha detto: "Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d'Israele"". Vennero dunque tutti gli anziani d'Israele dal re a Ebron, il re Davide concluse con loro un'alleanza a Ebron davanti al Signore ed essi unsero Davide re d'Israele. Davide aveva trent'anni quando fu fatto re e regnò quarant'anni. A Ebron regnò su Giuda sette anni e sei mesi e a Gerusalemme regnò trentatré anni su tutto Israele e su Giuda” (2 Sam. 5, 1 – 5).

    "Davide fece come Dio gli aveva comandato. Sbaragliò l'esercito dei Filistei da Gàbaon fino a Ghezer. La fama di Davide si diffuse ovunque; il Signore gli permise di incutere timore a tutte le genti” (1 Cronache 14, 16 – 17).

    Nell’ambito religioso cristiano la fama si raggiunge con l'adesione al Vangelo, con la diffusione della parola di Dio, guadagnando l’ammirazione e il rispetto della gente.

    Nella seconda lettera di Paolo ai Corinzi l’apostolo si difende dall’accusa di ambizione e fra l’altro dice: “Certo, noi non abbiamo l'audacia di uguagliarci o paragonarci ad alcuni di quelli che si raccomandano da sé, ma, mentre si misurano su sé stessi e si paragonano con se stessi, mancano di intelligenza. Noi invece non ci vanteremo oltre misura, ma secondo la misura della norma che Dio ci ha assegnato, quella di arrivare anche fino a voi. Non ci arroghiamo un'autorità indebita, come se non fossimo arrivati fino a voi, perché anche a voi siamo giunti col vangelo di Cristo. Né ci vantiamo indebitamente di fatiche altrui, ma abbiamo la speranza, col crescere della vostra fede, di crescere ancor più nella vostra considerazione, secondo la nostra misura, per evangelizzare le regioni più lontane della vostra, senza vantarci, alla maniera degli altri, delle cose già fatte da altri.
    Perciò chi si vanta, si vanti nel Signore; infatti non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda” (II Cor. 10, 12 – 18).

    Nel Vangelo di Marco, riguardo a Gesù si dice che “La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea” (1, 28).
    Ultima modifica di doxa; Ieri alle 08:56

  10. #10
    Viaggi e avventure della Serendipity

    Non so per qual ragione, una buona recensione sul Venerdì o Tuttolibri oppure semplicemente il titolo accattivante, "Viaggi e avventure della Serendipity", fatto sta che oltre vent'anni fa ho comprato quel ponderoso tomo di 500 pagine tutte dedicate a quella strana parola.
    Sicuramente non avevo letto nulla sull'autore, il sociologo Thomas K. Merton, perché - come il gerarca nazista Baldur Von Schirach - quando sento la parola sociologia, tolgo la sicura alla mia Browning; e oggi non lo avrei certo più comprato perché Amazon gli aggiunge il sottotitolo che lo autodenuncia come "Saggio di semantica sociologica e sociologia della scienza".
    Infatti, il segnalibro dopo 23 anni è ancora fermo a pagina 199, al capitolo "Storia Sociale della Serendipity".
    Tuttavia, la prima parte che narra approfonditamente della "nascita" di quella parola mi deve essere rimasta sedimentata nella memoria quando vent'anni dopo cercando su eBay il secondo volume di un'edizione settecentesca del Furioso (di cui avevo solo il primo volume) mi sono imbattuto - per caso o per serendipity - in questo libretto, piuttosto malandato senza rilegatura e senza frontespizio, che era in asta per poche decine di euro:


    Un veloce confronto tra le foto dell'asta e la copia digitalizzata presente su Google Libri mi ha confermato che si trattava effettivamente della prima edizione veneziana del 1557 del libro che ha dato inizio a tutta la storia di "serendipity" oltre che un contributo decisivo alla letteratura di genere poliziesco.
    Quindi me lo sono accattato per quelle poche decine di euro, senza tanta concorrenza.
    Pubblicato da Michele Tramezzino a Venezia nel 1557, la storia dei tre principi di Serendippo (Ceylon/Shri Lanka) era stata scritta da Cristoforo Armeno, originario di Tabriz, capitale dell'Azerbaigiàn, che intraprese, all'inizio della seconda metà del Cinquecento, il suo viaggio verso l'Occidente spinto dal desiderio, che egli stesso collega all'educazione cristiana ricevuta in patria, di conoscere il mondo culturale e religioso della "Franchia".
    Nel 1554 arrivò a Venezia, allora alleata della Persia dei Ṣafawidi, e quindi naturale prima tappa, non solo per ragioni strettamente geografiche, per un viaggiatore armeno.
    A Venezia, per sbarcare il lunario, diede alle stampe questa traduzione italiano di una serie di novelle risalenti a Firdusi (sec. X) nel Libro dei Re, e a Niẓãmī (sec. XII).
    La storia è diventata famosa nel mondo anglofono perché è l'origine della parola serendipity, coniata da Horace Walpole per indicare quanto avvenne ai i tre principi di Serendip che per "casualità e sagacia" con acuto metodo deduttivo scoprono cosa è successo ad un cammello smarrito mentre stavano cercando tutt'altro.
    Quando il padrone del cammello chiede loro se lo avevano incrociato, i tre rispondono con una serie di domande "Era cieco di un occhio?, gli mancava un dente? era zoppo? aveva un carico di burro e miele? era montato da una donna gravida?.
    "Sì, tutto esatto, allora lo avete visto... dov'è?" grida il cammelliere.
    E quelli: "No, non l'abbiamo visto ma adesso sarà lontano".
    Il cammelliere, visto che tutti i particolari elencati dai tre principi erano veri, pensa allora che siano loro che hanno rubato il cammello e li trascina davanti al sovrano per chiedere giustizia.
    Davanti al sovrano i tre principi si giustificano elencando le deduzioni scientifiche che li hanno portati a determinare quei particolari (es. il cammello doveva essere cieco da un occhio perché loro avevano notato che l'erba sul sentiero era brucata solo sul lato sinistro dove era più brutta che quella sul lato destro, le orme dimostravano che era zoppo, ecc. ecc.).
    Poi il cammello viene trovato e l'incidente si conclude felicemente.
    La stessa storia fu poi usata da Voltaire nel suo Zadig del 1747, e contribuì all'evoluzione della narrativa poliziesca di tipo deduttivo, ispirando prima Poe nella creazione del personaggio di Auguste Dupin, poi Conan Doyle per Sherlock Holmes.


    ser·​en·​dip·​i·​ty | \ ˌser-ən-ˈdi-pə-tē \

    luck that takes the form of finding valuable or pleasant things that are not looked for


    Coined by Horace Walpole in 1754 based on the Persian story of The Three Princes of Serendip, who (Walpole wrote to a friend) were "always making discoveries, by accidents and sagacity, of things which they were not in quest of".

  11. #11
    Opinionista
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    Grazie Kurono. Molto interessante il tuo post !

  12. #12
    Citazione Originariamente Scritto da Kurono Toriga Visualizza Messaggio
    La stessa storia fu poi usata da Voltaire nel suo Zadig del 1747,
    ...quel serendippo di Voltaire...plagiario pure a isso!....

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