
Originariamente Scritto da
restodelcarlino

...ma...

Sembra una domandina facile-facile, anodina.
In realtà, poni il problema del "giudizio" nella gestione dell'interfaccia sociale.
E non si puo' liquidare l'argomento in fretta e furia, in due parole in croce.
Abbiamo, infatti, la combinazione di diversi elementi..."variabili", per parlà 'ngegnèro.
Ed ogni elemento é binario. Cioé puo' assumere due valori .
Abbiamo 2 "soggetti": Io e l'altro/a. Ed ognuno puo' essere "giudice" e/o "giudicato".
Abbiamo 2 "oggetti di giudizio": la "persona" ed il "comportamento".
E da questo, cosa deriva?
Una sfilza di interrogativi:
1)
Io-persona, come reagisco sottoposto a un "giudizio identitario", cioé, come vivo un giudizio che riguardi la mia identità profonda? Ciò che “sono”?
2)
Io-comportamento, come reagisco ai giudizi sulle mie azioni/modo di agire? quanto riconosco, correggo o nego i giudizi che colpiscono i miei atti particolari?
3)
Altro/a-persona, quale diritto, o forse pretesa, ho di esprimere un giudizio sulla identità altrui, sulla sua “natura”?
4)
Altro/a-comportamento, quanto mi limito a valutare i singoli gesti, senza considerarli prova di identità/personalità/natura intrinseca
(ontologica, tiè
)?
Per non parlare delle "Domande di riserva":
Fino a che punto è legittimo ridurre la persona ai suoi comportamenti? Dove tracciare la linea tra giudizio sulla persona e sul comportamento?
Ogni giudizio sull’altro riflette anche un’immagine di me stesso?Come riconoscere (e limitare) le proiezioni personali?
È possibile vivere senza giudizio, o esso è condizione strutturale della comunità?
Con quali criteri giudichiamo? Etici (bene/male)? Funzionali (utile/dannoso)? Estetici (bello/brutto)?
In base a chi/cosa si stabiliscono tali criteri: Persona/Ente singolo, gruppo, cultura?
Quali dinamiche emergono quando i giudizi si accumulano nel tempo e costruiscono reputazioni?
È possibile progettare “buone pratiche di giudizio”, o resta inevitabile il rischio di fraintendimento e stigmatizzazione?
....si, ho capito: chiedevi risposte e non una sfilza di domande...rispondo.
Per me il giudizio è inevitabile in quanto fa parte del processo decisionale, della vita quotidiana: prendere informazioni/valutarle/"giudicare"/agire/verificare/correggere-memorizzare.
Lo faccio io, lo fanno tutti/e. Sempre.
Quindi, giudico in continuazione e sono giudicato in continuazione.
Poi c'é il "Giudizio"di tipo esplicito, formale: "la comunicazione".
Come "la prendo"?
Ne schematizzo due livelli:
Se riguarda il comportamento, lo considero un dato utile per la fase "verificare/correggere/memorizzare" del processo.
Se riguarda la persona, pesa di più, perché tende a fissarmi in un’etichetta, riducendo la complessità della mia identità.
Non sono impermeabile: ogni giudizio è uno specchio che mi rimanda un’immagine, a volte deformata. Quindi, filtro. Per capire se è un riflesso degli altri o se coglie davvero qualcosa di me.
Ammetto che i giudizi mi influenzano: ogni interazione con l'ambiente esterno (in senso lato)lo fa. Io "ne faccio risorsa": accolgo ciò che serve come correzione di rotta; rigetto ciò che percepisco come proiezione esterna.
Si, il processo di "Rimessa in discussione" é per me un processo continuo. Come la falsificabilità delle teorie scientifiche: non si arresta mai.
Condizionamento della vita?
So che la reputazione è fatta di giudizi stratificati e che questa condiziona concretamente possibilità e percorsi.
C'é un solo sguardo giudicante che puo' modificare la mia "Identità Profonda....
ontologica ed olistica 
"
Il mio.