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Cono e Pace, Dominus vobiscum
Stasera vi voglio raccontare che in Israele quando si percorre la strada litoranea sulla costa occidentale del Mar Morto verso la rocca di Masada, ultimo avamposto della resistenza giudaica contro l’avanzata delle legioni romane nel 73 d. C., si vede una rupe salina che la tradizione ha denominato “la moglie di Lot”. Fratel Cono l'hai vista quando sei stato in Israele ?
Chi era Lot ? Il nipote del patriarca Abramo.
Lot abitava a Sodoma con la sua famiglia. Ricevette la visita di due angeli nelle sembianze di uomini. Offrì loro ospitalità e protezione, poi questi gli dissero di allontanarsi dalla città prima della sua distruzione per volere di Dio, che fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco. Distrusse queste località, la valle con tutti gli abitanti e la vegetazione.
I due uomini dissero a Lot: “Prendi tua moglie e le tue figlie che hai qui ed esci per non essere coinvolto nel castigo della città: Lot indugiava, allora i due presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie […]”. Dopo averli condotti fuori città, uno dei due disse loro di non guardare indietro mentre si trasferivano e di non fermarsi nella valle, invece durante la fuga la moglie di Lot guardò indietro, e… divenne una statua di sale (Genesi 19, 26), trasformandosi nell’emblema di chi è sempre rivolto al passato, considerato come un paradiso perduto.
Voi due siete rivolti al passato ? Lo sapete che gli uccelli quando volano non si girano mai indietro ? Sono sempre protesi in avanti.
Anche lo scorrere del tempo è simile a una spinta costante e obbligata verso il futuro.
A proposito del tempo che passa, il poeta di epoca romana Orazio (Quintus Horatius Flaccus, 65 a. C – 8 a. C.) scrisse numerose poesie, 103 le pubblicò in quattro libri. Sono comprese nella raccolta titolata “Odi” (Carmina). Nel secondo libro (14,1) c’è questa locuzione in lingua latina: “Eheu fugaces labuntur anni” (= Ahimè, fuggevoli scorrono gli anni).
Il poeta, parlando di sé, non riusciva ad accettare la propria vecchiaia, con il passare degli anni.
L'espressione di Orazio collima con i versi di Virgilio: “Fugit inreparabile tempus” = Il tempo fugge irreparabilmente; (Georgiche, III, 284). Il tempo corre veloce e non si può recuperare. L'espressione completa è "Sed fugit interea, fugit inreparabile tempus", nel contesto originario Virgilio la usa per esortare gli agricoltori a cogliere il momento giusto per il lavoro dei campi, poiché ogni attimo perso non tornerà più. Nel corso dei secoli, la formula è stata abbreviata in “tempus fugit”, diventando simbolo della caducità della vita e del tempo.
Ed ancora: “Breve et inreparabile tempus omnibus est vitae” (= … il tempo della vita è breve e irreparabile per tutti, Eneide X, 467 – 468).
Altra locuzione di Virgilio nell’Eneide (X, 467) “Stat sua cuique dies” (= A ciascuno è dato il suo giorno): è un frammento delle parole di Giove a Ercole, che piange per l'approssimarsi della morte di Pallante per mano di Turno, e il padre degli dèi lo consola. L'intera frase dice: “Stat sua cuique dies, breve et inreparabile tempus / Omnibus est vitae” (= A ciascuno è dato il suo giorno, il tempo della vita / è breve e irreparabile per tutti). Nemmeno il padre degli dei può modificare il Fato, il tempo di vita e della morte è stabilito e immutabile. Ciò ricorda la frase che la Sibilla Cumana rivolge a Enea quando visita gli Inferi e incontra Palinuro: “desine fata deum flecti sperare precando” (= cessa di sperare di cambiare i fati degli dei con la preghiera).
Cono e Pace, diletti confratelli, domani è lunedì, è ora di tornare a casa, come nella parabola del “figlio prodigo”, raccontata nel vangelo di Luca. Le moderatrici come madri misericordiose vi accoglieranno. 
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Cono, senza consultarci hai deciso di lasciare improvvisamente ma temporaneamente il forum, perché sei stato coinvolto dalla superbia, dall’alterigia, coinvolgendo Pax. Ti sembra normale ?
Prima di andartene potevi almeno dare la soddisfazione a dark lady di farti bannare. Invece niente, da te mai “na gioia”.
Ed eccoti come ti sei ridotto da quando frequenti la confraternita dei flagellanti

Ti hanno fotografato dopo il rito dell’autoflagellazione

Ti sembra normale che per redimerti dai peccati devi autoflagellarti in pubblico ?
E a proposito di superbia ecco cosa dice Dante nella prima delle sette cornici del decimo canto del Purgatorio, dove è espiato il più grave dei sette peccati capitali (versi 112 – 123)
Io cominciai:Maestro, quel ch’io veggio
muovere a noi, non mi sembian persone,
e non so che, sì nel veder vaneggio».
Ed elli a me: «La grave condizione
di lor tormento a terra li rannicchia,
sì che ‘ miei occhi pria n’ebber tencione.
Ma guarda fiso là, e disviticchia
col viso quel che vien sotto a quei sassi:
già scorger puoi come ciascun si picchia».
O superbi cristian, miseri lassi,
che, de la vista de la mente infermi,
fidanza avete ne’ retrosi passi,

Ultima modifica di doxa; 25-11-2025 alle 11:06
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Buongiorno doxa, ho letto con piacere il racconto su Israele e i personaggi biblici, soprattutto le citazioni di Orazio e Virgilio, il pensiero immediatamente lo ho associato a delle terzine che Dante Alighieri riporta nel VI canto del purgatorio della Divina commedia dal paragrafo 24 al 45 dove cita la vicenda di Pier da la Broccia alla donna Bramante seconda moglie di Filippo III detto l'Ardito. Dante nella sua metrica esprime dei dubbi sulle preghiere che vengono rivolte a dei condannati del purgatorio in modo da abbreviare la pena inflitta. Chissà che Dante abbia estrapolato dalla sua immensa memoria quei brani poetici di Orazio e Virgilio.
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Ciao Durante, ogni tanto c'incontriamo 
Dante conosceva bene le opere di Orazio e di Virgilio, infatti quest'ultimo lo scelse come guida nel viaggio dantesco.
Amplio le strofe da te indicate nel VI Canto del Purgatorio, per includere anche il brigante Ghino di Tacco.
Quiv’era l’Aretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,
e l’altro ch’annegò correndo in caccia.
Quivi pregava con le mani sporte
Federigo Novello, e quel da Pisa
che fé parer lo buon Marzucco forte.
Vidi conte Orso e l’anima divisa
dal corpo suo per astio e per inveggia,
com’e’ dicea, non per colpa commisa;
Pier da la Broccia dico; e qui proveggia,
mentr’è di qua, la donna di Brabante,
sì che però non sia di peggior greggia.
Come libero fui da tutte quante
quell’ombre che pregar pur ch’altri prieghi,
sì che s’avacci lor divenir sante,
io cominciai: "El par che tu mi nieghi,
o luce mia, espresso in alcun testo
che decreto del cielo orazion pieghi;
e questa gente prega pur di questo:
sarebbe dunque loro speme vana,
o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?".
Ed elli a me: "La mia scrittura è piana;
e la speranza di costor non falla,
se ben si guarda con la mente sana;
ché cima di giudicio non s’avvalla
perché foco d’amor compia in un punto
ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla;
e là dov’io fermai cotesto punto,
non s’ammendava, per pregar, difetto,
perché ’l priego da Dio era disgiunto.
Veramente a così alto sospetto
non ti fermar, se quella nol ti dice
che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto.
"Quiv’era l’Aretin che da le braccia
fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte,"
questi versi (13 e 14) riferiti al brigante Ghino di Tacco li ricordo dal tempo del socialista Bettino Craxi, che firmava con lo pseudonimo “Ghino di Tacco” i suoi articoli e i suoi editoriali di analisi politica pubblicati sul quotidiano “L’Avanti”, organo del Partito Socialista Italiano.
Craxi scelse questo pseudonimo come risposta all’epiteto che il direttore del quotidiano “la Repubblica”, Eugenio Scalfari, aveva spregiativamente accostato la “rendita di posizione” di Bettino nel quadro politico italiano a quella del celebre bandito medievale che, dalla Rocca di Radicofani, assaliva i viandanti nell’allora unica via di comunicazione tra Firenze e Roma, la via Cassia.
Ultima modifica di doxa; 25-11-2025 alle 10:52
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