Risultati da 1 a 10 di 10

Discussione: Dio è morto ?

  1. #1
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    Dio è morto ?


    Giotto, Compianto del Cristo morto, affresco realizzato tra il 1303 e il 1305 nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Fa parte del ciclo dedicato alle Storie di Gesù. E' sulla parete sinistra (guardando verso l’altare), nel registro centrale inferiore. Giotto creò la scena senza l’aiuto dei suoi collaboratori.

    La frase "Dio è morto" si riferisce all'aforisma del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, che indica metaforicamente il declino della fede in Occidente; non la morte di un'entità divina, ma la perdita di centralità di Dio nella morale e nella cultura, grazie alla scienza e alla tecnica, che hanno emarginato la religione cristiana, trionfante con i suoi contenuti mitologici in un mondo agricolo-pastorale e la massa incolta.

    Il cardinale biblista e teologo Gianfranco Ravasi, in un’intervista ha detto che la morte è un evento ineliminabile nella vita umana e che la morte di Dio, secondo la sua visione, non è un evento negativo ma un momento di riflessione e di speranza.

    Ha suggerito che Dio dopo “la sua morte” è un essere trascendente. Ma non lo era già da prima che s'incarnasse in Gesù di Nazaret ?

    Ravasi dice che per spiegare l’immortalità e la vita eterna ci sono due strade:

    la prima, è quella filosofica. Platone sosteneva che l’individuo ha una dimensione trascendente;

    la seconda, è quella teologica. Siamo stati creati da Dio ( ?), essere trascendente che supera le categorie del tempo e dello spazio.

    Dice che entreremo nell’ambito del divino restando noi stessi, con l’immortalità dell’anima e la risurrezione della carne. Questa non significa far rivivere un corpo. Nella Bibbia ci sono due modelli di risurrezione: il “risveglio” e l’innalzamento verso Dio.

    Riguardo al corpo, la morte fisica è il segno del limite nell’individuo.

    Il “risveglio” secondo la “visione di Ezechiele”: le “ossa inaridite” si ricompongono nel corpo e riprendono vita nella loro identità; Gesù non si risveglia soltanto dalla morte, ascende al cielo. Non significa andare in alto ma entrare nell’infinito, nell’eternità di Dio. Lo dice Gesù: “Quando sarò innalzato da terra, tutti attirerò a me”: dal Vangelo di Giovanni (12, 32).
    Quando sarò innalzato da terra, tutti attirerò a me! (Giovanni 12,32).

    Innalzamento dopo la sua morte sulla croce, la risurrezione e l’ascensione al cielo. In quei momenti Gesù viene esaltato come Figlio dell’uomo e re.

    Non è solo la morte fisica sulla croce, ma include anche la risurrezione e l'ascensione al cielo, momenti in cui Gesù viene esaltato come Figlio dell'uomo e Re.

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    Ultima modifica di doxa; 28-12-2025 alle 22:33

  2. #2
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    Teologia della morte di Dio


    Andrea Mantegna, Cristo morto, tempera su tela, 1470 circa o 1483, Pinacoteca di Brera, Milano

    La teologia della morte di Dio è un'espressione nata nel biennio 1965 – 1966. La rivista "Time" la diffuse mediante una serie di articoli scritti dai maggiori esponenti della cosiddetta "teologia radicale" americana.

    Come movimento teologico è diffuso soprattutto negli Stati Uniti d’America dagli anni ’60 e 70 dello scorso secolo.

    In ambito teologico vengono sviluppate delle riflessioni sul concetto di “secolarizzazione” (dal latino saeculum) con il significato di mondo. E’ un fenomeno sociale riguardante la separazione tra istituzioni religiose e secolari e del declino di credenze e pratiche religiose nella società.

    Nel mondo contemporaneo lo spazio del sacro, del metafisico si è dissolto, l'esperienza di Dio è esperienza della sua assenza, tutta a vantaggio di un "uomo adulto" e autonomo.

    La frase "morte di Dio", era già utilizzata negli scorsi due secoli: il XIX e il XX. Friedrich Nietzsche la utilizzava per descrivere il proprio ateismo umanista.

    Anche Dietrich Bonhoeffer argomentava sulla "morte di Dio", intendendo la morte del dio costruito dall'uomo, la morte delle immagini, auspicata per far posto al vero Dio, al Dio del silenzio, al Dio-assente.

    I teologi radicali, invece, intendevano eliminare proprio il concetto di Dio. Gli stessi teologi sostenevano che sarebbe stato ancora possibile fare teologia, anche senza i termini che indicano la trascendenza ("teologia secolare "). A indurli ad assumere tale posizione fu la cosiddetta “ presa di coscienza”:

    La teologia doveva fare i conti con la sfida di vari filosofi dell’Università di Oxford. L'unica via percorribile: un riavvicinamento tra linguaggio religioso e linguaggio etico, e quindi la rivalutazione del linguaggio religioso a prescindere dal possibile contenuto del termine "Dio".

    Un saggio di Paul van Buren, del 1963, propone una rilettura del vangelo senza le prospettive di trascendenza: parlare di Gesù Cristo in modo diverso da quello canonizzato dalla tradizione. Secondo van Buren, il parlare di Gesù Cristo è stato falsato dalle controversie cristologiche dei primi secoli: i cristiani, per sfuggire all'accusa di impietas, di "empietà", in quanto esaltavano e adoravano un essere umano, Gesù, elaborarono la teologia del Logos, ratificata dal Concilio di Calcedonia. Proprio in questo passaggio, tutto il messaggio di Cristo e la sua storia personale furono riletti in chiave di trascendenza. Dal punto di vista storico tale rilettura delle origini della religione cristiana presenta diversi punti deboli. Van Buren ammette che la teologia del XX secolo sia riuscita a portare qualche modifica all'impianto rigidamente metafisico sancito a Calcedonia, ma l'impianto di fondo resta sempre lo stesso.

    Nel quadro culturale contemporaneo, invece, non c'è più posto per una teologia del Logos. È giunto il momento di impostare una cristologia di Gesù come uomo, una "teologia umanistica". Bisogna fare lo sforzo di rileggere i vangeli reinterpretando tutte le espressioni che sembrano alludere ad una natura divina di Gesù: resta il vangelo di Gesù Cristo uomo.

    L'espressione "Figlio di Dio", per esempio, è una locuzione superata per dire che Gesù Cristo era un uomo diverso dagli altri, un uomo libero (dal mondo, dalle tradizioni, dalla religione, dall'egoismo: un uomo libero di donarsi completamente agli altri). Con le vicende della Pasqua, questo ideale di libertà e donazione è passato ai discepoli: è diventato "contagioso", e Gesù Cristo si è rivelato come autentico liberatore. Questo è, per la teologia radicale, il "significato secolare del vangelo": Gesù è stato un uomo libero che ha dato libertà.

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  3. #3
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    La teologia della morte esplora il significato e le implicazioni della morte nella vita umana e nella
    fede, con contributi significativi da parte di teologi come Karl Rahner. Il suo libro titolato “Sulla teologia della morte” è considerato un classico nell’ambito della tanatologia teologica.

    Rahner propone una visione della morte che va oltre la separazione dell’anima dal corpo. Esamina la morte come un evento che coinvolge l’esistenza umana e la sua relazione con l’eternità. Argomenta anche sulla “pan-cosmicità” dell’anima”, il concetto di “morire con Cristo”, la dimensione personale della morte.

    La teologia della morte affronta vari aspetti, tra cui la natura della morte, il suo significato
    spirituale e le sue implicazioni etiche. Essa si interroga su come la morte influenzi la vita umana e la relazione con il divino.

    La Teologia della Morte di Dio.

    Questo movimento teologico affonda le sue radici in alcune mitologie.

    La morte divina è presente nel cristianesimo, nelle mitologie nordiche europee anteriori al cristianesimo, segnate dal presentimento di un imminente “crepuscolo degli dei”: il destino degli dei. Nella mitologia norrena il termine “Ragnarǫk” allude a eventi catastrofici ed escatologici che provocheranno un'apocalisse nei nove mondi della mitologia nordica, ne causeranno la fine ma anche la rinascita.

    Nella mitologia greca, Dioniso viene ucciso e fatto a pezzi dai Titani, poi il suo corpo viene ricomposto dal dio Apollo.

    Anche nella mitologia egizia si parla della morte del dio Osiride per mano del malvagio fratello Set; Osiride viene poi ricomposto e resuscitato dalla moglie e sorella Iside, con l'aiuto di Anubi.

    Nella teologia contemporanea la morte è spesso considerata attraverso il prisma della cultura moderna, che tende a rimuovere il tema della morte dalla coscienza collettiva.

    La teologia della morte è un ambito complesso che continua a evolvere, affronta le sfide della modernità e cerca di dare significato all'esperienza universale della morte, di comprendere le dinamiche spirituali e filosofiche legate a questo tema cruciale.

  4. #4
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    Come ho già detto in precedenti post, la frase "Dio è morto" si riferisce alla celebre affermazione del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, nei suoli libri “La gaia scienza” e “Così parlò Zarathustra”.

    L‘espressione la usò per descrivere la perdita di centralità dei valori religiosi e morali tradizionali nella società occidentale, segnando la fine di una certezza assoluta e l'inizio di un'era di nuovi valori e sfide (come l'Oltreuomo), non intendendo una morte letterale, di Dio, ma simbolica.

    “Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che l'oltreuomo viva”– questo sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà!”

    La frase è stata diffusa anche dalla canzone di Francesco Guccini del 1965: “Dio è morto”, per alludere ai vecchi valori, alla “morte degli dèi" e dei miti nella società contemporanea, con la speranza, però, di una rinascita in ciò in cui si crede e si vuole costruire.

    Il testo è ispirato dal poema dello statunitense Irwin Allen Ginsberg (1926 – 1997).

    Quella di Guccini è una canzone di protesta, cita i cambiamenti nella società del tempo, nella sfiducia in quel che si credeva eterno e fino a quel periodo mai messo in discussione.

    Questo è il testo della canzone “Dio è morto”


    “Ho visto
    La gente della mia età andare via
    Lungo le strade che non portano mai a niente
    Cercare il sogno che conduce alla pazzia
    Nella ricerca di qualcosa che non trovano
    Nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate
    Lungo le strade da pastiglie trasformate
    Dentro le nuvole di fumo del mondo fatto di città
    Essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà.

    E un dio che è morto
    Ai bordi delle strade, dio è morto
    Nelle auto prese a rate, dio è morto
    Nei miti dell’estate, dio è morto.

    Mi han detto
    Che questa mia generazione ormai non crede
    In ciò che spesso han mascherato con la fede
    Nei miti eterni della patria o dell’eroe
    Perché è venuto ormai il momento di negare
    Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
    Una politica che è solo far carriera
    Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
    L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto.

    E un dio che è morto
    Nei campi di sterminio, dio è morto
    Coi miti della razza, dio è morto
    Con gli odi di partito, dio è morto.

    Ma penso
    Che questa mia generazione è preparata
    A un mondo nuovo e a una speranza appena nata
    Ad un futuro che ha già in mano
    A una rivolta senza armi
    Perché noi tutti ormai sappiamo
    Che se dio muore è per tre giorni e poi risorge
    In ciò che noi crediamo, dio è risorto
    In ciò che noi vogliamo, dio è risorto
    Nel mondo che faremo, dio è risorto”.
    Ultima modifica di doxa; Ieri alle 16:47

  5. #5
    Candle in the wind L'avatar di conogelato
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    Stupenda!!! Anche qui, ecco la rivoluzione del Cristianesimo, il lieto annuncio, la Buona Novella: la Morte non è l'ultima parola sulla nostra esistenza.... Quaggiù, sotto le stelle, siamo solo di passaggio

    Buon 2026 a tutti! Ci risentiamo, a Dio piacendo, a Pasqua.
    Un caro abbraccio.

    Claudio
    amate i vostri nemici

  6. #6
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    Se ti è piaciuta, perché vuoi tornare tra noi soltanto a Pasqua ?

    Fratel Cono non puoi lasciarci soli. Noi abbiamo bisogno ogni giorno della tua parola.

    Ammaestra pure gli adolescenti nell'altro forum, ma senza privare noi della tua presenza.

    Tu sei per noi la “Fractio panis”, l’eucarestia: “Ecce panis angelorum / factus cibus viatorum” (= ecco il pane degli angeli, fatto cibo dei viandanti), frase di Tommaso d’Aquino nella “Lauda Sion Salvatorem”.

    Dopo quanto ti ho sopra detto, "mettiti una mano sulla coscienza", prima lasciarci

    Ciao Claudio

    p. s."Dum anima est, spes est" (= Finché c'è vita c'è speranza), detto popolare attribuito a Cicerone.
    Ultima modifica di doxa; Ieri alle 19:10

  7. #7
    @doxa : eccellente post !
    ...posso "divagare" ? una "svanveratina fisosofico esistenziale sciué sciué"?
    Saldi di fine anno

    Premessa logica
    La proposizione “Dio è morto” ha senso solo se:
    1. il soggetto (“Dio”) è un ente individuabile,
    2. il predicato (“è morto”) è applicabile a quel tipo di ente,
    3. entrambi stanno nella stessa categoria ontologica.
    Se uno di questi salta, la frase diventa incoerente, mal posta.

    Caso 1 — Dio antropomorfico (monoteismi storici)
    Qui, sappiamo tutto:
    "Dio"= Ente esistente, personale, intenzionale, narrabile ed inserito in una storia, anche se “eterna”.
    Quindi, simbolicamente, "ammazzabile".
    E Nietzsche funziona perché non parla di un decesso biologico, ma della perdita di funzione esplicativa e normativa di quell’ente.
    La frase è metaforica ma coerente.
    E cosi via...."coerenza" per tutte le altre credenze/religioni/fedi/dogmi e chi più ne ha...

    ...ma...per il
    Caso 2 — Dio come “energia creatrice primaria”
    Cominciano i problemi seri.
    Se Dio =principio impersonale, fondamento dei campi, delle simmetrie, dei quark e del resto del circo cosmologico,
    allora, c'é da grattarsi la cervice.
    Abbiamo:
    1. Errore di categoria
    “Morire” è un predicato che implica: individuazione, temporalità interna, possibilità di cessazione.
    Un principio ontologico non "muore". Al massimo, si trasforma (ma è già incluso) o viene ridefinito dal linguaggio che lo descrive.
    Dire “l’energia primordiale è morta” è come dire: “La legge di conservazione è in terapia intensiva”.
    Non merita nemmeno esser definito "falso": è grammaticalmente... "abusivo".

    2. Confusione tra ontologia ed epistemologia (e con questo, ho esaurito tutti i paroloni del 2025)
    Se qualcuno dice: “Dio è morto”, in realtà sta dicendo quest'altra cosa: “Questa descrizione di Dio non serve più”.
    Cioè, che è morta una metafora o che é tramontato un modello concettuale, non il decesso del principio che il modello tentava di definire/spiegare/catturare.
    In fisica non si affarma che:“lo spazio-tempo è morto”. Si dice che: "La teoria classica é suparata".

    3. L’unico senso residuo (molto forzato)

    Se proprio si vuole salvare la frase, l’unica lettura ammissibile è: “È morto l’uso teologico del principio cosmologico cosmogonico”.
    Ma allora, il soggetto reale non è Dio, ma è l’uomo che lo nominava così.

    ...e Nietzsche rientrerebbe, di soppiatto, dalla finestra: non cosmologia cosmogonica, ma antropologia del senso.

    Quindi, una prima conclusione (parziale)
    Dio antropomorfico = può “morire” simbolicamente.
    Dio come principio originario = la proposizione è priva di senso ontologico.
    Non ateismo, né blasfemia : una forma di "igiene concettuale"

    ....ma...
    Perché certi fisici parlano di “Dio” sapendo che non è "Dio" ?

    Il problema di fondo potrebbe essere che il linguaggio umano è pre-scientifico. Infatti, il linguaggio naturale nasce per: insulti, moccoli, maledizioni, caccia, alleanze, ammoremio, tradimenti, lutti, trucchimbrogli...Non per descrivere spazi di Hilbert,rotture spontanee di simmetria, campi non localizzabili, buchi neri asettici e divoratori...
    Quando il fisico arriva al fondamento, il lessico tecnico si assottiglia e resta una cosa sola: la metafora.
    E “Dio” diventa una comoda scorciatoia cognitiva.
    Quando Einstein diceva: "Dio non gioca a dadi”, faceva tre cose contemporaneamente:
    1. segnalava un limite teorico (rifiuto dell’indeterminismo fondamentale),
    2. usava una metafora antropica per farsi capire,
    3. prendeva le distanze dal Dio delle chiese nello stesso gesto.
    “Dio” significava: "Struttura razionale ultima, non arbitraria." Senza fumi di incenso e senza preghiera inclusa.
    In sintesi, il "Dio" dei fisici è è un "segnaposto semantico" o un termine-limite del linguaggio, non un ente.
    Chiarisco: il “Dio” del fisico è: impersonale, non intenzionale, non morale, non ascolta, non salva.
    Quindi non è un Dio, ma...un "segnaposto semantico" per “ciò che sta sotto tutto, quando le equazioni finiscono”.
    È l’equivalente ontologico del....vassapé
    I fisici lo sanno benissimo: Usano “Dio” perché é un termine conciso, è culturalmente carico, segnala immediatamente “fondamento”.
    Dire: “La struttura necessaria e invariabile, matematicamente coerente che genera la totalità dei fenomeni fisici” sarebbe certamente più corretto, ma non entra in un’intervista.
    Il paradosso é che "il fisico" scontenta tutti: quando dice “Dio”, il credente pensa che stia ammettendo qualcosa, ma l’ateo militante pensa che stia tradendo qualcosa.
    In realtà: non sta facendo né l’una né l’altra cosa: sta solo indicando il limite del linguaggio.
    Il Dio dei fisici è un Dio che non può morire, perché non è mai nato.
    È una metafora tenuta in vita per comodità retorica, come certe vecchie unità di misura che non servono più e che nessuno ha il coraggio di buttare.



    segue
    Ultima modifica di restodelcarlino; Ieri alle 21:13

  8. #8
    La vera maturità filosofica non è dire: “Dio esiste”, né: “Dio è morto”, ma: “Il reale non mi deve niente, e io vivo lo stesso”.
    Questo è il punto scomodo.
    Tutto il resto, che si tratti di teologie, ateismi militanti o spiritualismi scientifici, sono strategie di adattamento.

    Quando l’uomo smette di chiedere al "Fondamento" di salvarlo, giustificarlo o rassicurarlo, non diventa nichilista: diventa adulto.
    E scopre che il senso, caso mai ci sia, non è scritto nelle fondamenta dell’universo, ma nel modo in cui ci cammina sopra.

    Se si togliesse il Dio-persona, il Dio-principio parlante, il Dio-garanzia, allora resterebbe il "reale", così com’è: strutturato, necessario, muto.
    E resterebbe l’uomo (nonché, la donna) senza tutori metafisici: la fine dell’infanzia ontologica.

    Molti pensano che, tolto di mezzo "Dio", resti la Scienza come nuova provvidenza... o l’Umanità come nuovo soggetto assoluto...o il Progresso come escatologia laica.
    Sono surrogati.
    Cambiano i nomi, non la funzione: qualcuno / qualcosa deve garantire che tutto abbia senso.
    Ma niente e nessuno garantisce nulla.

    Cosa resta davvero ? Resta qualcosa?
    Resta poca roba, manco spettacolare: responsabilità senza appello, etica senza fondamento cosmico, "senso" senza certificato di origine.
    Non perché così sia meglio, ma perché così è.


    Una posizione "adulta" è sostenibile con difficoltà, perché instabile. Infatti, non offre redenzione né assoluzione, e nemmeno
    risarcimento finale.
    Chiede solo di agire come se il "senso" dipendesse da te, sapendo che l’universo non lo confermerà.
    È una postura faticosa. E rara.
    Anche perché quasi nessuno ci resta: nei momenti di dolore serio, davanti alla morte reale, sotto il peso dell’ingiustizia,
    la tentazione del “qualcosa che resta” ritorna.
    Non per debolezza morale, ma per struttura antropologica.

    Se dovessimo riscrivere onestamente
    “Dio è morto”,
    la formula corretta sarebbe:
    “Nessuno verrà a salvarci dal reale.”
    Tutto il resto è retorica.

    Conclusione finale
    Il mondo non promette nulla.
    L’uomo promette, a volte, a se stesso.
    E quando lo fa senza appellarsi al cielo, non diventa più povero.
    Diventa finalmente responsabile del proprio peso nel mondo.


    Fine.
    Ultima modifica di restodelcarlino; Ieri alle 17:12

  9. #9
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    Ciao Carlino, mi piace il tuo intervento. Ti risponderò appena posso, sono fuori sede

  10. #10
    Sovrana di Bellezza L'avatar di ReginaD'Autunno
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    C'è questa canzone che la dice tutta su dove Dio è morto e dove risorge, è tutta una questione sia di fede che di ideologie.

    Corteggiata da l'aure e dagli amori, siede sul trono de la siepe ombrosa, bella regina dè fioriti odori, in colorita maestà la rosa CLAUDIO ACHILLINI

    La regina del sud sorgerà nel giudizio. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone (Matteo 12:42)

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