Originariamente Scritto da
axeUgene
non faccio l'antropologo ma, a naso, la rappresentazione artistica nasce da un'attività propiziatoria e sciamanica di mimesi della natura; a prescindere dalla natura delle società coinvolte, caccia e raccolta, agricoltura, ecc... uno dei "misteri" della natura era la procreazione, di cui la donna era l'"oggetto" da rappresentare, e pertanto il soggetto colpito emotivamente dal "mistero" era l'uomo, vedi statuine della "madre"; poi, ci sarebbero le rappresentazioni del fallo, che però sembrano più legate a contesti agricoli, gli obelischi, ecc... in cui la gerarchia dei ruoli è consolidata nel senso militare, con la delega al maschile di un'attività "superiore", attinente al comando, come quella sacerdotale;
chiaramente, fino alla rivoluzione borghese, l'arte ha avuto una funzione strettamente connessa all'esercizio del potere in termini di comunicazione ideologica; un parallelo apparentemente insignificante, ma illuminante, l'abbiamo nell'alta cucina, dove tradizionalmente gli chef importanti sono uomini, da secoli;
quello che sarebbe interessante notare è che anche nelle società più evolute sul piano dei diritti di genere alla donna viene riconosciuta una grande capacità gestionale di ciò che è "utile", soprattutto in termini economicistici, dove le strade sono più aperte, anche in politica, nella misura in cui si tratti di società dai valori molto consolidati, dove conta più la gestione rispetto all'indirizzo, con rarissime eccezioni;
con l'avvento della società borghese, l'arte è divenuta parte delle identità di classe, come oggetto di consumo; cioè, se vado alla mostra di Kounellis mi dichiaro appartenente ad un gruppo sociale di livello culturale diverso e più elitario rispetto a chi visiti solo la Cappella sistina; l'arte e l'Artista diventano, in quanto formalmente "inutili" in termini di funzione diretta, leader "spirituali" che preconizzano universalmente mondi di idee, e l'attività in sé continua a testimoniare una delega di poteri diventati plurali, come i tycoon che comprano Pollock, per intenderci; può capitare una Peggy Guggenheim, ma esercita un ruolo di mecenate e collezionista eminentemente "maschile";
una spiegazione razionale sarebbe che nella società in transizione dei diritti, le energie femminili sono ancora convogliate nel recupero di status, che passa per le attività "utili", certamente remunerate, in cui il rischio di fallimento a fronte dell'impresa "eroica" dell'artista - potenzialmente povero - non è abbastanza appetibile da generare una propensione di massa;
poi, ci sarebbe da osservare un'altra circostanza: le donne sono mediamente meno educate alla competizione, e una massiccia motivazione all'attività artistica nasce proprio dall'empito competitivo, il virtuosismo, ecc...
è interessante notare come spesso le donne siano mediamente più capaci di individuare aspetti quintessenziali di un'espressione artistica perché meno interessate al formalismo virtuosistico, tanto quanto mediamente e specularmente gli uomini sono meno pronti a comprendere manifestazioni artistiche dove il virtuosismo formale gioca un ruolo minore o nullo, come i primitivismi e tutte le decostruzioni della
mimesis, l'emulazione virtuosistica della natura;
questa capacità femminile di individuare la potenza iconica sulla forma, per inciso, è una cosa che ho notato anche in musica e molto diffusa; ho una collezione di musica parecchio estesa e durante una lunga convivenza con compagna pittrice, ho visto che lei, pur non conoscendo quasi nulla di suo, al primo ascolto era capace di individuare le espressioni che tutta la critica individua come più rilevanti, al di là della forma; scartava un tardo EL&Palmer, ma i Velvet Underground e i Radiohead li riconosceva immediatamente; se io fossi uno che investe in fenomeni musicali emergenti, farei ascoltare tutto ad un campione di pubblico femminile