Originariamente Scritto da
Adalberto
“Chi Vespa mangia la mela.”
Forse a quei tempi qualcuno di voi era adolescente come me e ricorda lo sconcertante ma eccitante richiamo subliminale alla sessualità condito con un filo di irriverenze religiosa fattasi pubblicità.
Mezzo secolo dopo, in un epoca di più diffusa liberazione sessuale il “Se non ti lecchi le dita godi solo a metà” tocca direttamente una delle infelicità dei sensi più diffuse.
“Dove c’è Barilla, c’è casa.” Un messaggio di conforto per chi ce l’ha (e anche per chi ci sta scomodamente dentro) e per chi ne è privo ma aspira a costruirsene una seguendo le sue più autentiche aspirazioni (finché non tenteranno di osteggiarle) o quelle del facile prêt-à-porter Mulino Bianco.
Intendo dire che la pubblicità non è ne buona né cattiva.
Anzi, la vedrei anche come un’arte, una musa moderna che con maggiore o minore delicatezza tocca ambiguamente – come le antiche divinità - quello che siamo e in tal senso ci ispira. Siamo comunque tutti esserei fragili e passibili di infelicità periodiche su tutti i temi della vita: sesso, socialità, status social, ma non ricordo se queste siano le 3 esse canoniche della comunicaziome. Ma i temi sono tanti fino a toccare anche la religione evocata dalla mela biblica di cui parlavo all’inizio: sono imìnnumerevoli gli spot televisivi che presentano suore o frati, declassati come testimonial.
Bisogni indotti dalle campagne pubblicitarie?
A prima vista sembra proprio così, essendo noi abituati a dare risposte semplici a problemi complessi. Ma al posto di soffermarmi su questo dito, oserei guardare oltre e riflettere su quanto in realtà siano indotte le culture, gli immaginari e i preconcetti in cui siamo allevati, in cui viviamo.
La pubblicità certamente li usa ( talvolta brandendoli come una clava), ma in fondo non li crea: al massimo li fa emergere, anche prima di una nostra consapevolezza: la pubblicità può anche essere avanguardia.
E’ proprio nei bacini culturali, di acque stagnanti o correnti, che pescavano i cosiddetti Mad Men delle campagne pubblicitarie del secolo scorso. Ricordo ancora l’orgoglio ironico che molti di loro ostentavano quando da giovane visitavo le loro agenzie e leggevo spesso il medesimo avviso “ Non dite a mia madre che faccio il pubblicitatio, lei mi crede pianista in un bordello”.
Non penso proprio che i pubblicitari siano dei cattivi burattinai, né penso più ad un primario sfruttamento di debolezze umane, perché ormai da decenni la soglia di accesso agli strumenti per affrontare criticamente la vita e la società si è abbassata ed ora pratucamente è a livello zero con il web. Se qualcuno non allunga la mano per sfiorare quegli strumenti critici ha da piangere primariamente se stesso.
Lo dimostra il fatto che non siamo più all’epoca del consumismo dove si doveva vendeva ciò che era prodotto nelle fabbriche.
Da parecchio tempo ora si vende ciò che il consumatore chiede. E cosa chiede? L’effimero, non il necessario che ormani non si sa più cosa sia. Forse non è mai nemmeno esistito, perché l’essere umano è sempre stato dominato dal suo immaginario che dirige le sue scelte di vita. Ma ora cora di più
E’ cambiato il paradigma. Solo i vecchi commercianti pensano di “vendere il prodotto”, ora si punta a creare una “esperienza di acquisto” che si declina a livello sensoriale nei punti vendita: luci, aromi, materiali tasttili, suoni : sono studiati per intercettare ogni senso del consumatore e lo avvolgono per appagarlo. E’ lui il re o la regina da accondiscendere, non più il prodotto.
Sensori di movimento lo intercettano nel suo percorso nel grande magazzino attravverso software di riconoscimento facciale per profilarlo, non solo per età e genere perché sarebbe troppo banale. E parlo di cose viste una decina di anni fa quando frequentavo fiere di settore europee: ho solo una vaga idea di quanto si siano tecnicamente raffinate le analisi per creare strategie per il punto vendita e la razionalizzazione della logistica e la disposizione dei prodotti.
In breve non siamo più al vecchio giochetto di mettere le caramelle di fronte alle casse del supermercato per allettare il consumatore-bambino a compensare le proprie frustrazioni con un dolcetto last minute.
Il focus non è più quello di condizionare il consumatore per soddisfare i bisogni della produzione.
Ora il nuovo driver che orienta la produzione sono i consumatori stessi, con le loro pluralità socioculturali che vanno analizzate, interpretarte e soddisfatte nelle loro mille sfacettature edonistiche.
Se in passato potevamo prendercela con un “sistema” che ci condizionava, oggi siamo noi che -nemmeno troppo inconsapevolmente - chiediamo al sistema di soddisfare i nostri “bisogni”. E ci studiano a puntino per fornirceli.
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Negli anni 60 si promuovevano campagne di marketing per la massa ( la tv, l’utilitaria e la lavatrice: prodotti che hanno anche contribuito a incrinare equilibri culturali secolari ), ma poi il mercato è stato via via segmentato per differenti categorie sociali sempre più sottili, fino ad arrivare all’attuale web marketing individuale.