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“Un semplice incidente” (2025) di Jafar Panahi
Un uomo pensa di riconoscere il suo torturatore nel tipo che chiede aiuto con la sua auto in panne dopo un semplice incidente. Lo segue, lo rapisce e nel momento in cui lo sta seppellendo vivo ha un attimo di dubbio, se sia davvero l’uomo dei servizi segreti iraniano che lo accusò di cospirare contro il governo di Teheran. Chiama allora altre persone perseguitate come lui a cui fa vedere il viso del presunto torturatore, ma tutti tranne uno sono dubbiosi si tratti di quella persona. Il film ha vinto la Palma d’Oro all’ultimo Cannes, meritato o no penso sia stata una decisione politica, quella che invece è mancata a Venezia per “La voce di Hind Rajab”. “Un semplice incidente” appare per certi versi una commedia sofisticata, più che un vero e proprio thriller, che ricorda nelle discussioni tra i protagonisti, quando non si trovano d’accordo su nulla - come nelle migliori versioni delle opposizioni politiche, qualcosa di Woody Allen. Negli ultimi minuti cresce però il lato drammatico del film, con un dialogo serrato tra il torturatore e i suoi carcerieri, in cui si evidenzia il danno comune a chi persegue e a chi subisce il dettato di una dittatura.
Un semplice incidente ***