"non starei mai con una come te. Con una che usa il suo corpo e quello degli altri...
"Non starei mai con una come te. Con una che usa il suo corpo e quello degli altri a scopo ricreativo… a 43 anni".
A parlare è un credente praticante. Catechista per adulti.
Ma vien da chiedersi: cosa si pratica davvero, qui? Fede o controllo morale dell’altrui esistenza?
Se prendiamo i testi sacri sul serio, senza manipolarli in manganelli teologici, scopriamo una narrativa ben diversa.
Nel cristianesimo, ad esempio, San Paolo definisce il corpo tempio dello Spirito Santo (1 Cor 6:19):
“Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi?”
Ma il contesto è un invito alla coerenza, non alla sorveglianza del corpo altrui.
E ancora (Romani 14:4) : “Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Se sta in piedi o cade, è affare del suo padrone.”
Gesù stesso, quando incontra chi viene giudicato, non risponde con la condanna ma con l’ascolto: la peccatrice perdonata, la samaritana, la donna adultera.
Sono storie di relazione, non di esclusione.
E cosa dice in merito la religione più "rigorosa", quella dalla "lapidazione facile"?
Nell’Islam, il corpo è un affidamento sacro (amanah), sì, ma la prima ingiunzione non è “correggi il comportamento degli altri”: è abbassa lo sguardo:
Sura An-Nur (La Luce):
"Di' ai credenti di abbassare i loro sguardi e di custodire la loro castità: ciò è più puro per loro. In verità Allah è ben informato di quello che fanno...."
Questi versetti sono tra i più citati nel contesto dell’etica del corpo nell’Islam.
L’ingiunzione non è “correggi il comportamento degli altri”, ma “abbassa tu lo sguardo”. Il corpo dell’altro non è campo di giudizio, bensì occasione per l’autodisciplina e la responsabilità individuale.
L’invito è alla responsabilità personale, non alla giuria permanente.
Nella Sura Al-Hujurat (Le Stanze Interne),
"O voi che credete! Non deridano alcuni altri: forse questi sono migliori di loro (...). Evitate molte supposizioni: in verità, alcune supposizioni sono peccato."
E allora: dove sta scritto che “a 43 anni” il corpo perde la sua dignità? In quale sura si fissa la data di scadenza della libertà individuale?
Chi ha coniato il dogma secondo cui il piacere vissuto fuori dal perimetro altrui è automaticamente profanazione?
A ben vedere, la frase citata non nasce dalle Scritture, ma da un fastidio personale che cerca copertura religiosa.
E questo apre una questione cruciale.
Non sarà, allora, che certi credenti praticano più il giudicare che il comprendere empaticamente?
E che, in nome della fede, si ritrovano ad adorare non Dio… ma il proprio disagio proiettato sul vivere altrui?