Citazione Originariamente Scritto da Turbociclo Visualizza Messaggio
Bellissimo! Che poi, oggi, già se ti apri al terzo figlio sei visto come un alieno irresponsabile.....

Essere "responsabili" significa fare il passo secondo la gamba, e oggi purtroppo queste gambe ce la hanno parecchio accorciate. Altrimenti assecondiamo i nomadi dove le bambine le fanno sposare a 13 anni di età in modo che partoriscono 10 figli, favorendo tra l'altro la pedofilia di mariti quasi quarantenni. Si assiste a certi spettacoli raccapriccianti in tv alle volte...
Non essere sciocco: Fra denatalità, crescita zero e spose bambine....c'è di mezzo il mare. I dati ISTAT parlano chiaro. E fotografano un paese vecchio, amorfo e stanco. Senza prospettive, senza futuro.
Prenditi 5 minuti e leggi:

Un paese per vecchi: il primo problema dell'Italia è la demografia
Il nostro è un paese sempre più anziano, e quindi sempre meno attento ai giovani: perché dovremmo iniziare a preoccuparci seriamente della questione demografica.

Per comprendere le attuali dinamiche, affermano i due autori, occorre partire da lontano. Con l’avvento della rivoluzione industriale, tutti i paesi del mondo hanno intrapreso – e in alcuni casi stanno ancora ultimando – il passaggio da una condizione di “demografia naturale”, caratterizzata da alti tassi di fecondità e mortalità, a una condizione di “demografia controllata”, caratterizzata da bassi tassi di fecondità e mortalità. Le due variabili, tuttavia, non si muovono necessariamente di pari passo: tra le due fasi, pertanto, se ne colloca una di “transizione demografica”, in cui la riduzione della mortalità, influenzata dal miglioramento delle condizioni igieniche e dalla diffusione delle conoscenze mediche, precede il rallentamento della fecondità, determinato dalla disponibilità dei metodi contraccettivi, ma anche dall’evoluzione di fattori economici e culturali. Questo sfasamento ha determinato, nel corso del Novecento, l’esplosione della popolazione mondiale. Se sono occorsi centinaia di migliaia di anni per superare la soglia del primo miliardo di abitanti del pianeta, e poi 123 anni per raggiungere il secondo miliardo, i salti dal quinto al sesto e dal sesto al settimo hanno richiesto appena dodici anni.

Da qui alla fine del secolo, la crescita continuerà, ma a un ritmo ridotto; e sarà concentrata nel continente africano, che vedrà quasi quadruplicare la propria popolazione entro il 2100, sino a contendere all’Asia la palma del continente più numeroso. Nello stesso orizzonte temporale, viceversa, l’Europa è destinata a ridurre la propria consistenza del 16%, passando da 750 a 630 milioni di abitanti. Al secolo dell’esplosione demografica, dunque, segue il secolo dell’invecchiamento. L’indice di vecchiaia misura il rapporto tra il numero di persone di più di 65 anni e il numero di persone di meno di 15: cinquant’anni fa non raggiungeva il 15%; oggi supera il 30%. L’età mediana del mondo è ancora piuttosto bassa (29,6 anni), ma oscilla tra i 19,4 anni dell’Africa e i 41,6 anni dell’Europa. Gli anziani, che nel 2000 rappresentavano il 7% della popolazione mondiale, raddoppieranno entro il 2050 e già oggi, per la prima volta nella storia, sono più numerosi dei bambini che hanno fino a 5 anni.

In un contesto generale di demografia stagnante o declinante, l’Italia desta particolare preoccupazione: quello che nel 1950 era il decimo paese più popoloso al mondo, con 47 milioni di abitanti, e nel 2015 era arretrato al ventitreesimo posto, pur raggiungendo i 60 milioni di abitanti, già nel 2050 scenderà al 36esimo posto, rinculando a 55 milioni di abitanti. A dar credito alle previsioni più pessimistiche, fra cent’anni la popolazione italiana potrebbe crollare a 16 milioni di abitanti, circa un quarto della consistenza attuale. Il tasso di fecondità, dopo aver raggiunto il picco di 2,7 figli per donna nel 1964, quando le nascite in Italia superarono il milione, scese a 1,19 figli per donna ancora nel 1995, un primato negativo a livello mondiale; oggi si attesta a 1,32 figli per donna, un valore leggermente più alto ma ben lontano dal tasso di sostituzione di 2,1 figli per donna, mentre l’età media al parto tocca per la prima volta i 32 anni.

In assenza di un’inversione di rotta, questo squilibrio è destinato ad acuirsi con il mero scorrere del tempo: si calcola che tra venticinque anni gli ultrasessantacinquenni rappresenteranno un terzo della popolazione italiana: una notizia ferale per un paese che già oggi ha la spesa pensionistica più gravosa d’Europa. Come interrompere questo circolo vizioso? Sotto il profilo culturale, occorre superare due pregiudizi distinti ma connessi. Il primo assegna alla preoccupazione per il calo delle nascite una coloritura necessariamente reazionaria. Mettere al mondo un figlio è forse la scelta più personale che una coppia (o un individuo) possano compiere e questo spazio di autodeterminazione dev’essere presidiato dal più ampio margine di libertà; allo stesso tempo, è opportuno evidenziare che bassi tassi di fecondità hanno dei costi che si ripercuotono sull’intera popolazione.

Il secondo afferma che il malessere demografico non dovrebbe preoccuparci, bensì confortarci, perché ulteriori aumenti di popolazione sarebbero insostenibili per il pianeta. Si tratta di un’opinione antistorica che sintetizza nostalgie malthusiane e seduzioni decrescentiste. Se ammettiamo che le risorse naturali saranno pure finite, ma non lo è la creatività umana che sola le valorizza – lo sottolineano autori come Julian Simon, che parla dell’uomo come della risorsa finale, e il premio Nobel Paul Romer, che invita ad abbandonare il paradigma dell’economia degli oggetti per abbracciare quello dell’economia delle idee – dobbiamo riconoscere che, al contrario, un mondo più abitato è un mondo più prospero. Più siamo, meglio stiamo.

https://www.wired.it/attualita/polit...e/?refresh_ce=