[QUOTE=mat612000;1186553]Il massacro
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[URL="http://n3m0.splinder.com/"][size=1][color=red]Il problema degli uomini non
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Probabilmente ciascuno usa la sua e su quella si regola.
E' poi l'insieme a presentare degli aspetti differenziati essendo pure rappresentativo di diverse posizioni che prendono consistenza in funzione di tante variabili quindi difficilmente si avr
Devo possedere un dono per cui alcuni leggono nei miei interventi quello che non c'è scritto. Tanto che un intervento che era di conferma e di appoggio a quanto diceva il tuo viene preso per una smentita. Forse non sono solo io a dover leggere meglio gli interventi altrui.
Che non esista poi dire che "è zona di guerra" significa smentire la realtà. I pacifisti sono stati troppo ingenui, proprio perchè hanno sottovalutato la nota disinvoltura israeliana rispetto alle leggi internazionali. Hanno alla fine ottenuto un "successo" di immagine, ma l'hanno pagato duramente.
E in questo concordo con gatto: se volevano una vittoria di immagine meno sanguinosa, dovevano prima di tutto cercare di apparire più neutrali, e non "filopalestinesi", e cercare appoggi più autorevoli, che so, un ex presidente americano di quelli che in pensione si annoiano...
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Ultima modifica di marimba; 01-06-2010 alle 10:51
Ad ogni modo secondo il diritto internazionale l'arrembaggio e l'occupazione di una nave civile da parte di mezzi navali militari al di fuori delle acque territoriali può costituire un atto di guerra.
Infatti, in acque internazionali (e tali sono anche quelle della zona di sfruttamento economico esclusivo) la nave civile è territorio dello stato "di bandiera", quindi è come se forze armate israeliane avessero compiuto un raid in territorio turco uccidendo dei civili, sequestrando beni e arrestando delle persone.
Forse questi comportamenti in mare sono meno evidenti che sulla terra ferma, ma trattasi di un vero e proprio atto di guerra (se fosse stato compiuto da forze armate irregolari sarebbe stato considerato pirateria).
Moderatore Debate Square
"Era un mondo adulto, si sbagliava da professionisti"
- P. Conte -
Angst essen Seele auf
Senz'altro. E chiediamoci cosa sarebbe successo in termini di rappresaglia se un motoscafo di Hamas avesse abbordato in acque internazionali una nave civile israeliana e ne avesse massacrato l'equipaggio... Tremo al pensiero.
Dal punto di vista giuridico non ci piove: è un atto di guerra. Ma non è una novità, visto che Israele è in guerra da 60 anni col resto del mondo...
Quella che critico è l'opportunità di avre sfidato gli israeliani senza un adeguato supporto politico e di immagine. A questo punto Israele ha buon gioco a far passare un'iniziativa umanitaria per una provocazione dei filopalestinesi...
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TEL AVIV - Dalla spiaggia di Tel Aviv guardiamo il Mediterraneo incendiato dall'inconfondibile luce del Levante e proviamo un senso di vergogna, come di profanazione per quello che vi è accaduto nell'oscurità. Non si sono certo fatti onore i marinai d'Israele, protagonisti di un arrembaggio dilettantesco e cruento. Una delle pagine più oscure nella storia di Tzahal. Tanto più che spezza inavvertitamente l'equilibrio strategico mediorientale in cui la Turchia rivestiva una preziosa funzione di stabilità, e coalizza una vasta ostilità internazionale contro lo Stato ebraico.
Può anche darsi che stringendo gli occhi a fessura sul riverbero del mare la maggioranza degli israeliani sia trascinata dall'esasperazione a sussurrare tra sé l'indicibile - "ben gli sta, se la sono cercata" - ma ciò non ribalta il bruciore della sconfitta morale. Il paese è sotto choc, soggiogato dal senso di colpa. Vorrebbe giornalisti in grado di spiegare la strage come legittima autodifesa. S'immedesima nei militari feriti, e così la tv giustifica i primi marinai saliti a bordo della "Mavi Marmara": hanno vissuto attimi di terrore, una situazione analoga a quella dei due soldati linciati dieci anni fa nel municipio di Ramallah. Ma suda vistosamente l'ammiraglio Eliezer Merom, seduto accanto al ministro della Difesa, Ehud Barak, quando tocca a lui giustificare una provocazione cui i suoi uomini, come minimo, non erano preparati. I portavoce governativi balbettano più volte la parola "rammarico". Rispondono a monosillabi sotto l'incalzare dei reporter. Né giova alla credibilità internazionale d'Israele che il primo incaricato di rilasciare dichiarazioni ufficiali sia stato il viceministro degli Esteri, Danny Ayalon, esponente del partito di estrema destra "Israel Beitenu": fu proprio Ayalon l'11 gennaio scorso a offendere di fronte alle telecamere l'ambasciatore turco Oguz Celikkol, fatto sedere apposta su una poltrona più bassa della sua e preso a male parole. Rischiando di interrompere già allora le relazioni diplomatiche fra i due più importanti partner degli Usa in Medio Oriente.
Oggi il trauma del distacco fra Israele e la Turchia è irrimediabilmente consumato. Non a caso il governo di Ankara aveva appoggiato la Freedom Flotilla dei pacifisti, salpata dalle sue coste con l'intenzione di un'esplicita azione di disturbo ai danni di Netanyahu. Israele è caduto in pieno nella provocazione.
E' un tale disastro geopolitico, la contrapposizione al più importante paese islamico della Nato, oggi attratto nel gioco delle relazioni spregiudicate con la Siria e con l'Iran, da lasciar intuire che possa esservi stato un calcolo in tale follia: cioè che la destra israeliana al governo, già invisa all'amministrazione Obama, scommetta di sopravvivere praticando il tanto peggio tanto meglio. Netanyahu, ricattato alla sua destra, esercita una leadership fragile, piuttosto spregiudicata che coraggiosa. Ciò che lo assoggetta alle ricorrenti tentazioni d'azione militare dell'alleato laburista, politicamente sprovveduto, Ehud Barak. Il governo d'Israele si comporta come se non fosse mai avvenuto il ritiro dalla striscia di Gaza. Ha lasciato nelle mani di Hamas e dei suoi sostenitori internazionali l'arma propagandistica dell'embargo cui è sottoposta una popolazione di un milione e mezzo di abitanti. Cerca di mobilitare contro Barack Obama e Hillary Clinton la comunità ebraica statunitense, sottovalutando i dilemmi morali e le perplessità che il suo oltranzismo ha generato in quella che non è certo più una lobby compatta.
E' coltivando il mito della propria autosufficienza, l'illusione di contenere sempre nuovi nemici grazie alla superiorità tecnologica e militare, che Israele è andata a infilarsi nella trappola della Freedom Flotilla. Incapace di trattare con cinismo distaccato un'iniziativa umanitaria sponsorizzata da tutti i suoi peggiori nemici. Non poteva limitarsi a bloccare fuori dalle acque territoriali il convoglio ostile? Perché la Marina è stata chiamata a dare una tale prova di arroganza e inefficienza? Male informata, come minimo, forse beffata nel corso di trattative ufficiose, ha suggellato un disastro politico.
Ma i calcoli strategici restano in secondo piano di fronte al turbamento delle coscienze.
Il blocco militare del Mar di Levante evoca troppi simboli dolorosi nel paese che coltiva la memoria dei sopravvissuti alla Shoah quasi alla stregua di una religione civile. Impossibile sfuggire alla suggestione che in una tiepida notte d'inizio estate le acque del Mediterraneo abbiano vissuto un Exodus all'incontrario. Non certo perché i militanti e i giornalisti a bordo della flotta che intendeva violare l'embargo di Gaza siano paragonabili ai 4500 sopravvissuti dei lager che le cacciatorpediniere britanniche speronarono nel 1947 al largo di Haifa, impedendo loro di approdare nel nuovo focolare nazionale ebraico. Ma perché quell'arrembaggio sconsiderato in acque internazionali, senza che Israele fosse minacciato nella sua sicurezza, discredita uno dei suoi valori fondativi: la superiorità morale preservata da una democrazia anche nelle circostanze drammatiche della guerra.
Per questo nell'opposizione al governo di destra echeggiano parole gravi, accuse di follia: "Chi ha agito con tanta stupidità deve rendersi conto che ha sporcato il nome d'Israele", scrive per esempio il vecchio pacifista Uri Avnery.
Con timore mi sono presentato in serata all'incontro organizzato dall'istituto italiano di cultura, cui partecipava un centinaio di ebrei d'origine italiana. Mi avrebbero accusato come altre volte di tradimento, di scarsa lealtà alla causa israeliana? Lo scoramento, inaspettatamente, prevaleva sulla recriminazione. Nessuno dei partecipanti ha speso una parola per difendere l'operato del governo e di Tzahal. Il disastro politico veniva riconosciuto coralmente, chiedendosi semmai chi possa metterci una buona parola per segnalare all'estero l'angoscioso senso d'accerchiamento vissuto dagli israeliani.
E' giunto ieri a Tel Aviv, per dialogare con la leader dell'opposizione Tzipi Livni, il filosofo francese Bernard Henry Levy. Filoisraeliano convinto, all'inizio del 2009 appoggiò perfino la spedizione punitiva "Piombo fuso" scatenata da Olmert contro Gaza. Ma oggi Henry Levy è tra i primi firmatari di un "Appello alla ragione" di varie personalità ebraiche d'Europa, collegate a un analogo movimento ebraico statunitense, denominato "J call". Sono esponenti moderati, sionisti, solo in minima parte ascrivibili alla sinistra politica, che ora denunciano l'evidente ostilità del governo Netanyahu ai tentativi diplomatici messi in atto dalla Casa Bianca per costituire in tempi brevi uno Stato palestinese che viva in pace con Israele. Auspicano un ricambio di maggioranza politica a Gerusalemme, e di certo la segreteria di Stato americana condivide tale speranza: ha usato parole molte prudenti nel commentare la strage in mare. Ma il dispetto di Obama è gravido di conseguenze che gli israeliani percepiscono sotto forma di incubo dell'abbandono.
Con sollievo si è constatato che, per ora, il crimine marittimo non pare causa sufficiente a scatenare la prossima Intifada, cioè la rivolta interna degli arabi col passaporto israeliano. Ma non ci sono soltanto gli equilibri dei governi e della geopolitica mediorientale, in bilico. Chi protesta, o anche solo chi si vergogna in silenzio, avverte il pericolo che il paese cui è legato da un vincolo indissolubile di parentele e sentimenti, degradi nel disonore. In quello splendido mare infuocato, l'epopea dell'Exodus sta facendo naufragio.
(Gad Lerner) http://www.repubblica.it/esteri/2010..._gaza-4483064/
amate i vostri nemici
Che se ci fosse stato quel trasporto sarebbe stato fatto dalle navi da guerra turche con adeguata copertura aerea, cosa che non c'era e non era un caso.Quella che critico è l'opportunità di avre sfidato gli israeliani senza un adeguato supporto politico e di immagine
Il che mette in una ottica diversa il gioco di ruolo che le parti, varie, conducono pro proprio.
Quando i sovietici tentarono "un trasporto" che scottava verso cuba dovendo realmente passare un blocco navale c'era la flotta ai fianchi del convoglio e i sottomarini d'attacco in cima e la cosa si pose e si risolse in altri termini.
Per altro verso gli israeliani non fanno torto a nessuno
Attacco alla Liberty
Durante la Guerra dei Sei Giorni gli israeliani assaltarono una nave militare americana uccidendo decine di marinai. Alcuni sostengono che si trattò di un atto deliberato.
http://www.giornalettismo.com/archiv...-alla-liberty/
E non seguì praticamenete nulla, per fare la guerra servono soprattutto motivi propri di farla, altrimenti tutto si trasforma in un deprecabile incidente.
Ultima modifica di Il gatto; 01-06-2010 alle 14:18
Come la tela di Penelope, questo episodio avra' l'effetto di far tornare indietro di anni il processo di pace. Perche' nessuno si domanda a chi giovi tutto cio'?
amate i vostri nemici
The masters of the war. E i mercanti d'armi in primis.
amate i vostri nemici