Per quanto eloquentemente i Vangeli descrivano la sofferenza del Gesù vivente fino alla morte ed alla sua sepoltura, altrettanto parchi, come del resto è naturale, sono sul tempo che va dalla sepoltura all'evento della resurrezione. E per questo ne siamo grati perché la morte richiede questo silenzio, non solo per quanto riguarda la tristezza dei sopravvissuti, ma soprattutto per ciò che riguarda la conoscenza su dove sia andato a finire e sullo stato del morto.
Quando noi attribuiamo ai morti (nei miti e nelle nostre fantasie) forme di attività diverse e tuttavia in continuità con quelle terrene non è solo segno della nostra perplessità su quello che accade sull'altro lato della morte; noi lo facciamo anche contro una convinzione più forte che ci dice che la morte non è un avvenimento parziale, bensì avvenimento che afferra l'uomo nella sua totalità, anche se con ciò non si vuole affatto considerare annientato il soggetto, e che questo stato consiste principalmente nel lasciar dietro le proprie spalle qualsiasi forma di attività spontanea, e sta quindi ad indicare passività, uno stato nel quale si trae, forse in maniera misteriosa, la somma di tutta l'attività vitale conclusa.