sai, il punto è che chi postuli un dio governatore e giudice onnipotente di tutto, ma anche "buono" e misericordioso, deve spiegare alla vittima terrena dell'ingiustizia umana o della circostanza malefica "naturale" il senso dell'astensione divina dal porvi rimedio, e la conseguente percezione di un'assenza di quel Governatore;
a chiacchiere e sofismi, si arrampicano sugli specchi anche i più preparati, da millenni;
non ha senso insistere su quell'impianto paganeggiante, che immagina un Remuneratore a fronte del sacrificio obbediente e nevrotico; una condizione ben nota alla psicologia del senso di colpa:
se io temo una punizione, ma non so quale, e la cosa mi genera angoscia;
così, mi punisco da me; mi privo di qualcosa di valore, il capretto che sfamerebbe me e la mia famiglia, il mio desiderio, la mia sessualità, il piacere e la gioia di vivere;
in questo modo, gestisco la mia punizione e nel dialogo immaginario con quel Remuneratore mi pongo nella condizione di dire: non mi punire ancora; non vedi quanta infelicità mi sono già procurato ?
ma poi, questo eterno Giobbe viene perseguitato lo stesso, e se psicologicamente si atteggia a figlio di un'autorità, smette di credere tout-court; oppure trasforma quella fede in odio, desiderio di vendetta, ché tutti si sacrifichino e siano vittime come lui; o, ancora, si immeschinisce in una versione più soft, che è il bigottismo, o il formalismo ipocrita, o la schizofrenia di sentimenti;
se chi sceglie di credere in Dio oggi non fa i conti in modo mediato e strutturato con la realtà dell'assenza materiale di un governo divino del mondo, per cercare una formula diversa, solida e convincente, impazzisce, va in corto circuito, perché perde il raccordo col sentimento generale, con gli altri e il credere resta quella nevrosi antica prodotto e corazza del senso di colpa patologico, con tutti i paradossi che leggi qui.