Il buddhismo originale
Sono le 4 nobili verità principalmente.
«Oh monaci, il Tathāgatha, il Venerabile, il Perfettamente risvegliato, ha messo in moto presso Vāraṇasī, a Isipatana (Sarnath), nel Parco delle gazzelle, l'incomparabile ruota della Legge (dhammacakka), che non può essere ostacolata da alcun asceta o brāhamana o deva o Māra o Brahmā né da chiunque altro al mondo - la ruota della Legge, cioè l'annunciazione, l'esposizione, la dichiarazione, la manifestazione, la determinazione, la chiarificazione, l'esposizione dettagliata delle Quattro nobili verità. E di quali quattro? Della nobile verità del dolore, della nobile verità dell'origine del dolore, della nobile verità della cessazione del dolore, della nobile verità della via che porta alla cessazione del dolore.»
(Buddha Shakyamuni Saccavibhaṅga Sutta, Majjhima Nikāya, 141.[1])
Nella vita degli esseri senzienti (sanscrito sattva, pāli satta, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō, tib. sems-can), tra cui l'essere umano, è insita la "sofferenza" (san. duḥkha, pāli dukkha, cin. 苦 kǔ, giapp. ku, tib. sdug-bsngal). Tale esperienza del dolore riguarda anche i momenti di "appagamento" e "serenità" in quanto essi stessi impermanenti. Nei testi canonici il Buddha Shakyamuni individua otto tipi di dolore:
Il dolore della nascita, causato dalle caratteristiche del parto e dal fatto di generare le sofferenze future.
Il dolore della vecchiaia, che indica l'aspetto di degrado dell'impermanenza.
Il dolore della malattia, determinato dallo squilibrio fisico.
Il dolore della morte, generato dalla perdita della vita.
Il dolore causato dall'essere vicini a ciò che non "piace".
Il dolore causato dall'essere lontani da ciò che si "desidera".
Il dolore causato dal non "ottenere" ciò che si "desidera".
Il dolore causato dai cinque skandha (o aggregati), ovvero dalla loro unione e dalla loro separazione. Questi sono: il corpo, (rūpa), quale manifestazione dei 4 elementi terra, aria, fuoco e acqua; le sensazioni (vedanā); le percezioni (saññā); le formazioni mentali (sankhāra); la coscienza (viññāna).
Questa lista di otto dolori viene riassunta in tre categorie (san. tri-duḥkhatā, pāli tidukkhatā, cin. 三苦 sānkǔ, giapp. sanku, tib. sdug bsngal gsum)[3]:
Dolore in quanto tale (san. duḥkha duḥkhatā, pāli dukkha dukkhatā, cin. 苦苦 kǔkǔ, giapp. kuku, tib. sdug-bsngal-gyi sdug-bsngal). Questa categoria riassume i dolori inerenti alla nascita, alla malattia, alla vecchiaia e alla morte. Ma anche quelli riguardanti all'essere uniti a ciò che non si desidera e a quelli procurati nel cercare di fuggire lo stesso dolore.
Dolore per ciò che muta (san. vipariṇama duḥkhatā, pāli viparinama dukkhatā, cin. 壞苦 huài kǔ, giapp. e ku, tib. 'gyur-ba'i sdug-bsngal). In questa categoria vengono riassunte le sofferenze procurate dall'impermanenza come quelli dell'essere separati da ciò che si desidera o quelli generati da non ottenere ciò che si brama.
Dolore generato dall'esistenza (san. saṃskāra duḥkhatā, pāli saṃkhāra dukkhatā, cin. 行苦 xíngkǔ, giapp. gyōku, tib. khyab-pa 'dubyed-ky sdug-bsngal). In questa categoria vengono elencati i dolori relativi all'insoddisfazione perenne procurata dall'esistenza nel saṃsāra: la frustrazione, l'inutilità di numerose nostre attività. Queste sofferenze sono collegate ai cinque skandha (o aggregati) e ai relativi attaccamenti.
Il "dolore" affligge l'uomo a motivo dell'impermanenza sia propria che di tutto ciò che sperimenta e conosce in vita, per effetto della sua nascita immersa nel saṃsāra e per l'adesione alla credenza in un sé imperituro.
Questa sofferenza si rivela ed è percepita non solo quando si constata l'ineluttabilità di malattia, vecchiaia e morte, ma anche quando si è costretti al contatto con ciò che non si ama (contatti, connessioni, relazioni, interazioni con persone, cose od eventi sgradevoli ecc.), come pure è percepita quando si è costretti alla separazione da ciò che si ama o in cui ci si diletta, o ancora quando si risente di un disagio esistenziale derivante dallo scontrarsi con una realtà che non soddisfa la propria adesione all'idea di un sé solido, affidabile ed imperituro. La frustrazione dei desideri è una delle più usuali percezioni del "dolore".
Più in generale, la constatazione che viene fatta nella "Prima nobile verità" è che esiste nella vita dell'uomo una "sofferenza" associata indistricatamente all'essere nel mondo un mutevole «composto di aggregati».
La Verità dell'origine del dolore
Il "dolore" non è colpa del mondo, né del fato o di una divinità; né avviene per caso. Ha origine dentro di noi, dalla ricerca della felicità in ciò che è transitorio, spinti dalla sete, o brama (sanscrito tṛṣṇā, pāli taṇhā, cin. 愛 ài, giapp. ai, tib. sred pa), per ciò che non è soddisfacente. Si manifesta nelle tre forme di:
kāmatṛṣṇā (pāli kāmataṇhā, cin. 欲愛 yùài, giapp. yoku ai, tib. 'dod pa la 'dun pa) o "brama di oggetti sensuali";
bhavatṛṣṇā (pāli bhavataṇhā, cin. 有愛 yǒuài, giapp. u ai, tib. srid pa'i sred pa) o "brama di esistere";
vibhavatṛṣṇā (pāli vibhavataṇhā, cin. 無有愛 wúyǒuài, giapp. mu u ai, tib. 'jig pa la sred pa) o "brama di annullare l'esistenza".
La Verità della cessazione del dolore
"Esiste l'emancipazione dal dolore".
Per sperimentare l'emancipazione dal dolore, occorre lasciare andare tṛṣṇā, l'attaccamento alle cose e alle persone, alla scala di valori ingannevoli per cui ciò che è provvisorio è maggiormente desiderabile. Questo stato di cessazione viene denominato nirodha (san. e pāli, cin. 滅 miè, giapp. metsu, tib. gog pa).
La Verità della via che porta alla cessazione del dolore
"Esiste un percorso di pratica da seguire per emanciparsi dal dolore".
È il percorso spirituale da intraprendere per avvicinarsi al nirvāṇa (pāli nibbāna, cin. 涅槃 nièpán, giapp. nehan, tib. mya ngan las 'das pa).
Esso è detto il Nobile ottuplice sentiero.
«Nel mezzo di questo sentiero, realizzato dal Tathāgata che produce la visione e la gnosi, e che guida alla calma, alla perfetta conoscenza, al perfetto risveglio, al nibbāna? Esso è il Nobile ottuplice sentiero, ovvero la retta visione, la retta intenzione, la retta parola, la retta azione, il retto modo di vivere, il retto sforzo, la retta presenza mentale, la retta concentrazione.»
(Buddha Shakyamuni Dhammacakkappavattana Sutta, Saṃyutta-nikāya, 56,11.[1])
La retta concentrazione si raggiunge con la meditazione (bhavana), cuore del dharma (insegnamento), che sviluppa le qualità per tutti i sentieri e porta al samadhi (unione con l'oggetto) al sati (auto consapevolezza/mindfulness) e al nirvana/nibbana, l'estinzione delle rinascite penose o nel mondo divino. Un nuovo stato.
La meditazione si divide in samatha e vipassana.
metodi principali della meditazione buddhista sono divisi in śamatha (meditazione della tranquillità) e vipassana (meditazione dell'intuito o di profonda visione). Il termine meditazione di visione profonda viene talvolta utilizzato per l'intera meditazione buddhista.[1]
Le meditazioni samatha includono l'anapanasati (coscienza del respiro) e i quattro brahma-viharas dei quali mettā bhāvanā è il più praticato; attraverso essa il praticante ottiene i quattro dhyāna. Le meditazioni vipassana comprendono la contemplazione dell'impermanenza, la pratica dei sei elementi (la contemplazione del corpo e del respiro, della mente e delle sensazioni) e la contemplazione della condizionalità. Le meditazioni samatha solitamente precedono e preparano per quelle vipassana, a volte possono essere alternate.
Ognuno dei cinque metodi base, in grassetto, è un "antidoto" per uno dei cinque "veleni" mentali.
Tipo di meditazione Metodo Neutralizzazione di Sviluppo di
Śamatha
(meditazioni della tranquillità) anapanasati distrazione concentrazione
mettā bhavana odio ed attaccamento sentimentale gentilezza amorevole
karuna bhavana crudeltà, peccato sentimentale ed ansia compassione
mudita bhavana risentimento e invidia gioia compartecipe
upekkha bhavana indifferenza e neutralità apatica equanimità
Vipassana
(meditazioni dell'intuito) contemplazione dell'impermanenza bramosia pace interiore, libertà
pratica dei sei elementi narcisismo chiarezza sulla propria natura
contemplazione della condizionalità ignoranza saggezza, compassione
Esistono altri tipi di meditazione, come su temi specifici, o metodi; ad esempio nello Zen/Chán si utilizza la meditazione zhǐguān (giapponese shikan o shikantaza) evolutasi nello zazen (meditazione seduti, concentrati sul respiro e la vacuità); essa è ripresa direttamente dalla Samatha (Zen è la traduzione di dhyāna, gli stati meditativi) e dalla Vipassana (zhi sta per samatha, guan per vipassana). In generale tutte le meditazioni buddhiste del Mahayana e del Vajrayana sono evoluzioni di samatha/vipassana praticato oggi nel Theravada, con l'utilizzo aggiuntivo dei mantra o di particolari oggetti di meditazione (es. Yidam o divinità).