Troppo difficile da seguire tutto il discorso per intero, a me però ha dato uno spunto su un'idea che è viva da tempo dentro di me. Premetto che parlo di sensazioni personali basate ovviamente su un PERCORSO personale che non ha pretese di oggettività né di scientificità. Mi è sembrato che Jerda a un certo punto contestasse l'idea di un percorso storico evolutivo che sbugiardasse credenze antiche con l'ausilio della "Scienza"...
A mio parere pensare che una qualsiasi idea che riguardi l'essenza della realtà, in un campo dove dimostrazioni non esistono, sia "superata" dalla modernità con la emme maiuscola, è completamente fuorviata. E rivela anche un certo bias per cui le idee collettive progrediscano sempre virtuosamente verso una rivelazione, come se fosse scienza.
Mi viene in mente ad esempio la sapienza nel campo dell'idraulica nell'antica Roma, che dava punti ai moderni, ma il discorso che volevo fare è un altro e mi espone a facili contestazioni da parte di chi, rispetto a me, ha "verità" belle e pronte e non "punti di vista". Parto da una domanda strana: Perché i nativi americani, i quali spesso vivevano un contatto con la natura e la spiritualità assai vivo e spontaneo furono soppiantati, sterminati dalle "giacche blu" rappresentanti del cosiddetto "mondo civilizzato" che vedeva in loro solo selvaggi incolti e idolatri? Esiste infatti, secondo me, un disegno che segna il cammino umano, nascosto eppure rintracciabile. Rousseau parlava del mito del "buon selvaggio", idealizzando un concetto che, pur avendo una base di verità, costituiva una grande generalizzazione. Il cosiddetto "selvaggio" vive una realtà assai più semplice dell'uomo civilizzato, un contatto immediato con la natura e gli animali, una possibilità di elevazione spirituale maggiore della nostra. Non ha di certo le nostre complicazioni mentali. Può sviluppare capacità interiori che noi non avremo mai, oppure, nella sua semplicità, può al contrario mostrare in qualche caso una parte istintiva negativa e violenta. Parliamo di una mentalità “bambina” contrapposta a quella dell’adulto, ma non è forse il bambino un essere che comunica più facilmente col Creato ? Pure deve per forza crescere, “maturare”, come si dice.
Quello che accadde al nativo americano fa parte forse di un processo apparentemente crudele ma inevitabile; il bambino puro deve per forza “sporcarsi” rendendo la sua vita più complessa ed elaborata, per incontrare di nuovo l’Assoluto in un modo diverso, dopo un lunghissimo cammino, dopo aver vissuto tutta la sua libertà affrontando esperienze che lo formino attraverso tutto quel “bene” e quel “male” che mette in gioco. Dopo infinite gioie e sofferenze che un giorno lo metteranno di fronte al Nulla da cui proviene e in cui finalmente si perderà riacquistando se stesso.